L'amico

(a cura di Carlo Cremona)

 

INCONTRO CON IL PADRE AGOSTINO TRAPE’

 

Rimpianto di persona cara; nostalgia di amico che non si può dimenticare.

Ricco come era e generoso di amicizia.

Padre Agostino Trapè: in tale dimensione la figura vive inalterata nella mia memoria; semmai abbellita dal mistero della morte che separa la carne, ma lega di più vero amore.

Sono certo: ritroverò così la sua figura nella memoria di tanti altri amici, che non arrivo a contare.

Tentare ravvivarlo un momento; non solo per mio conto, ma per gli amici.

Si potesse organizzare un simposio, ognuno contribuire con personali ricordi.; provocare un intenso richiamo affettivo (si possono evocare quelli che erroneamente chiamiamo morti e sono approdati alla sponda della vera vita!); per me e per gli amici: sarebbe un suo festoso ritorno.

 

Tracciarne un profilo, non una vera e propria biografia.

Non già percorrerne il racconto, dalla nascita alla morte; farne conoscere l’intera vita a chi nulla abbia mai saputo chi egli sia stato. Da Montegiorgio nelle Marche, suo paese natale, sino al suo fastigio a Roma.

Poteva essere un cardinale, ma talvolta si è grandi anche senza essere cardinale.

 

Parlarne, invece, con chi già lo ha conobbe e godé della sua conversazione.

Come averne la voce registrata nella memoria e ridarne suono.

(Se il Signore ci avesse concesso delle brevi trasferte tra quelli dell’aldilà da noi. Ma forse, chissà?, lo ha fatto. Se ne inventiamo lo strumento nell’ambito della nostra realtà... direbbe Agostino, più intima della nostra stessa intimità… Come inventiamo tutti i giorni meravigliosi strumenti telematici. Qualcosa di analogo. La nostra memoria si cancella più per la sfiducia delle sue misteriose possibilità, che per i suoi limiti di reale di energia).

 

Questo profilo biografico: per tenerne in qualche modo più viva la ricca personalità, finora mancava.

Mi devo chiedere se ora il profilo c’è; e se raggiunge il valore di un ritratto fedele e degno di lui.

Non vorrei iniziare questo ricordo con un rimprovero polemico verso ignoti o verso chicchesia.

Uomo esemplare per virtù religiose, per meriti scientifici, per incarichi delicati ricoperti; lui, che seppe portare il proprio umile nome e l’opera al fastigio di un eccezionale livello di dignità, di un vasto riconoscimento e conseguente rimpianto; di grato ricordo, da parte di estimatori suoi.

Eccezionale, infatti, tra gli uomini esimi della stessa taglia culturale, la dignità raggiunta dal suo nome e universalmente riconosciuta.

Ancor oggi, ulteriormente continuata in presenze e citazioni presso opere che hanno continuato i suoi medesimi studi.

Un fiume che non accenna a prosciugarsi e porta ancora frequenti riflessi delle sue onde.

Mi viene da osservare, tuttavia, per la tranquillità e la sensibilità dei molti e autorevoli che lo hanno conosciuto, lo hanno avuto confratello e amico, oppure maestro.

E’ mancato nell’anno 1987, ben sedici anni or sono!

Omissione o distrazione?

Ha sapore, almeno alquanto, di un’immeritata lacuna: diciamo, d’una distrazione. Colpa dei tempi che corrono.

Sono il primo, del resto, a battermi il petto per un sincero mea culpa, onde attenuare l’eventuale sgarbo, certamente perdonato e dimenticato da uno spirito sempre ossequiente alla modestia evangelica, che, ormai, ha l’occhio della mente teso alla bellezza tanto antica e tanto nuova, in compagnia del suo grande Padre.

Mi accingo a farlo, proponendomi di impegnare tutte le mie capacità per far cosa degna del suo merito; comunque, disinteressatamente, più annotatore biografico che scrittore brillante; come posso, con tutto il cuore, consapevole che, anche dall’al di là, lui ne è contento; contento anche, per particolari motivi che io conosco, che sia io ad occuparmene.

Lui ringrazia, riversando l’onore, che rendiamo al suo nome e alla sua opera, a gloria di Dio solo; felice della parte rilevante che ne ha il suo, ormai da lui inseparabile Agostino.

E’ un bisogno e un dovere per chi gli è stato amico: un atto di giustizia per il mondo della cultura, di riconoscenza da parte dei teologi, far resistere il suo nome al tempo che divora le memorie e i meriti.

Lo studioso più appassionato del dottore massimo della Chiesa, cultore con amore di figlio, e divulgatore dei suoi scritti: merita!

Nel campo scientifico della ricerca filosofica e teologica, Agostino Trapè, uomo, sacerdote, studioso, non è stato un esponente comune.

A misurarne le dimensioni personali in base alla sua modestia (per natura, era carattere che ambiva senza dubbio al riconoscimento, aveva sempre d’occhio l’onore del suo Ordine religioso, in epoche, secondo lui, che ad esso non venivano riconosciuti ufficialmente e globalmente i meriti storici di santità e di cultura che lo avevano contraddistinto nel passato) e, facendosi a Dio strumento di gloria (dovere per l’uomo, sul modello dell’Agostino suo; per consapevolezza dei doni che gli erano stati elargiti) ma con altrettanta teologica semplicità; a non farsi abbagliare, da un certo culto della personalità oggi di moda (cosa non è spettacolo?).

Possiamo dire con certezza: questo monaco sacerdote agostiniano, che ha operato nella cultura durante gli anni ottanta del trascorso secolo XX, Agostino Trapè, non è stato un uomo comune.

Tra i più ricchi di spiritualità feconda e comunicativa, tra i più studiosi (nei due sensi, ricerca ed amore) del Mistero (Dio, Cristo, Chiesa, oltre la cultura umana); tra i più disinteressati, onesti, modesti; maestro, perché perenne discepolo alla scuola dei grandi del pensiero, notte e giorno, ragazzo o uomo maturo; sposato alla cultura nella sua varia ricchezza; scolaro di Agostino d’Ippona, di quei discepoli che assimilano l’essenza spirituale del loro maestro, perché ambiscono farsene figli ed eredi; come Platone per Socrate, come Porfirio per Plotino

Il Nostro ha raggiunto, possiamo dirlo, un elevato livello di ricchissima dottrina generatrice di pura spiritualità.

Nell’offrirne, tuttavia, un rinnovato ricordo a chi lo ha conosciuto, stimato, amato, la lode che gli si tributa non è priva della consapevolezza di non dover noi tratteggiare la vita di un santo o di un genio; lui stesso, alieno se volessimo noi istituirgli una specie di processo canonico per virtù eroiche.

Intento che non riguarda né la sua onorata tomba di un servo inutile, quale si riteneva, nel compiere quanto doveva a servizio del suo padrone, da servire con tanta maggiore alacrità nel riconoscersi da lui straordinariamente dotato; né riguarda noi, nel ricordarlo.

Se Dio vuole, potrebbe interessare chi verrà, se il frutteto da lui piantato continuerà a maturare con abbondanza; ora no.

Questa nostra onesta e sincera impostazione nei riguardi dell’amico defunto (e pur vivo tra noi), dovrebbe rassicurare il lettore che non abbiamo preoccupazioni e interessi nel tracciare la nostra affettuosa testimonianza di lui; che, quel che andiamo dicendo parlando di un caro amico e affettuosamente ricordandolo, è sincerità di affetto; poco meno di un verità giusta, che non vorremmo trascendesse in encomio; il quadraginta, una minus di san Paolo, nello scrupolo di potersi sbagliare.

Ecco, in sintesi: un segno di gratitudine di chi lo ha conosciuto, frequentato, di chi ha goduto dei doni che Dio gli ha dato.

Un ricordo: mio e non solo mio.

Che al mio se ne aggiungano altri; di chi scorre le pagine di passata memoria, e rivive, ha la capacità di rivivere momenti vibranti di cara compagnia.

Collana di ricordi, ricordi come perle, preziose perle incastonate nel supporto della preziosa amicizia.

Un ricordo collettivo, che ricostruisca una personalità integrale.

Intrattenersi se non con lui, su di lui.

Un’ora, in virtuale colloquio: con il caro nostro Padre Agostino Trapè.

Un’ esperienza, vorrei dire, tra mistico e reale!

Nominarlo e recuperarlo tra noi, per una trasferta.

Proposito ingenuo come una bolla di sapone.

Ma lui direbbe e lo sento: Perché no? Nulla impossibile a Dio.

Teologo contemporaneo a tutto tondo.

E a tiro di memoria (i teologi vivono di lunga memoria; sono essi stessi memoria di verità, la tersissima verità delle labbra di Cristo).

Un forte teologo del nostro tempo refrattario alla verità, assai amico della menzogna.

Più che allora, quando lo definì Cristo, il mondo d’oggi è immerso nella menzogna.

Agostino Trapè: mente investigativa guidata da un pilota d’eccezione.

Anche quel tanto che, per libertà e disparità di giudizio, si volesse togliere ad una misura più abbondante del valore che in genere gli si riconosce; scrematura o riserva ad un maggiore consenso, risulterebbe comunque un premio, nell’ambito di quella umiltà evangelica (proporzione tra fondamenta e celsitudine della costruzione nell’ingegneria agostiniana) di chi pone l’onere e l’onore della propria fatica nel ritenersi soddisfatto d’esser considerato servo inutile nella vigna di Dio.

L’albero – dice il vangelo – si riconosce dal suo lungo fruttificare, abbondanza dei suoi frutti e loro potere nutritivo.

Dico subito: Agostino Trapè è stato un albero della vigna del vangelo, seminato, nato, cresciuto in quella vasta e feconda denominazione della vigna che la mappa catastale storica riconosce tradizionale proprietà di Agostino.

Io non so cosa sarebbe stato quest’uomo alla sequela di un altro fondatore di ordine religioso.

Ma in mancanza di questo futuribile, penso che non avrebbe potuto amare e servire nessun altro ideale con tale coinvolgimento, così come si è acceso di entusiasmo per il suo Agostino e l’ideale monastico che lo ha attratto.

Agostino d’Ippona, grande santo, fu un convertito alla genuina fede cattolica dopo esperienze ereticali; abbracciata la fede cattolica, suo fermo ideale sarebbe stato consacrarsi a Dio nella vita monastica secondo un genere di vita per cui compose una celebre regola così equilibrata che tanti fondatori diversi di ordini religiosi hanno assunta e seguita; egli aveva istituita e avviata in Africa, nella modesta proprietà di famiglia, nel paese nativo Tagaste, insieme ai suoi familiari e amici, la vita conventuale; il suo monachesimo era laicale, cioè, escludeva, di per sé, l’impegno clericale e sacerdotale; era suo proposito vivere un’amicizia come esperienza spirituale e intellettuale e offrire il frutto della sua ricerca teologica a vantaggio delle Chiese in Africa e altrove.

Per restare fedele a questo suo proposito, schivava la frequentazione di Chiese con sede vacante, per non offrirsi alla tentazione, conosciuto come era, di essere costretto ad accettare la consacrazione presbiterale o vescovile; essendo capitato nella cittadina di Ippona, provvista di un santo vescovo (non del tutto efficiente per ragioni di età e di linguaggio), fu costretto ad accettare prima il presbiterato e poi l’episcopato; rassegnatosi alla volontà di Dio, patteggiò con il vescovo in carica la sua collaborazione, a patti di stabilire ad Ippona un suo monastero e potervi convivere con i monaci che seguivano la sua regola.

Questa sua antica istituzione si era molto diffusa e stabilita in Africa durante il suo episcopato che, compresi i pochi anni di presbiterato, si prolungò per circa quaranta anni.

I monasteri agostiniani divennero veri e propri seminari che fornivano vescovi e preti per le Chiese d’Africa, fin oltre la morte di sant’Agostino, quando, verso la metà del secolo V, l’Africa cessò di essere cattolica e romana per l’invasione dei vandali e i monaci ripararono prima in Sardegna e poi in Europa.

La fondazione monastica di sant’Agostino si differenziò, in quei secoli, attraverso forme diverse e indipendenti di vita cenobitica, restando nel complesso fedele all’osservanza della Regola composta dal grande Patriarca, da tutti ritenuta geniale e ispirata. Queste differenti fondazioni cenobitiche, eremitiche, monastiche sotto la Regola Agostiniana, nel 1256 furono raccolte, dal papa Alessandro IV, in un unico corpus, sotto la regola agostiniana, un Ordine religioso secondo le nuove riforme della vita monastica e le esigenze pastorali della Chiesa Universale (Ordini mendicanti).

L’Ordine degli Eremiti di sant’Agostino (oggi nuovamente Ordine di sant’Agostino) ebbe una grande storia insieme agli altri Ordini mendicanti. Lutero, che ne era membro, con la sua impostazione teologica e le polemiche acri che ne seguirono anche tra gli ordini religiosi affini, ne danneggiò la fama.

Tuttavia, nell’umiltà e nella fedeltà alla Chiesa, secondo l’esempio del suo Fondatore, la famiglia agostiniana, giuridicamente concepita come ordine monastico, ha resistito e sopravvissuto con grandi meriti di santità, pastorali, scientifici, missionari e di altro genere.

Questo richiamo storico sull’Ordine Agostiniano, ho voluto introdurlo non già per un’apologetica, peraltro oggi non più necessaria; ma perché costituì l’orgoglio della vocazione religiosa del padre Agostino Trapè; e per comporre una cornice alla fisionomia religiosa del Nostro.

Il discorso, infatti, permette di individuare le ragioni di stimolo per le sue certezze, i suoi entusiasmi, le sue rivendicazioni,

Amore per Agostino e per l’Ordine agostiniano, con una capacità da renderli tutt’uno!

Agostino e il suo particolare monachesimo, rivissuto nel carisma storico dell’Ordine Agostiniano che la Chiesa riconosce.

Agostino fu grande vescovo, grande intellettuale e maestro di vita spirituale.

Ma quello che lui avrebbe voluto assolutamente essere per prima cosa: servus Dei, uomo di Dio, monaco...

Trapè ha rivendicato la paternità agostiniana sulla realtà monastica che si onora del suo nome.

Egli ha ridato, riuscendo miracolosamente in questo proposito, all’Ordine Agostiniano:

a) una paternità sicura;

b) un carisma, un indirizzo, uno scopo che consiste: interpretare questo genio cristiano antico, renderlo presente nella nostra età e mantenerlo vivo semplicemente facendolo conoscere.

 

Sono opera di padre Trapè due iniziative innovatrici:

1) L’ Institutum Patristicum “Augustinianum”;

2) La Nuova Biblioteca Agostiniana.

Per l’Ordine Agostiniano esse costituiscono una rifondazione del valore della Grande Unione medioevale, operata da Alessandro IV nel 1256.

Io sono un coetaneo del padre Agostino Trapè; fui anche condiscepolo di lui, per un tratto della nostra formazione teologica nel Collegio Internazionale di Santa Monica e alla Pontificia Università Gregoriana, durante gli anni trenta.

In quegli anni, per essere a Roma l’unica Università Pontificia, l’Università fondata da sant’Ignazio e retta dai Gesuiti, godeva di un prestigio particolare.

Nello Studentato di Santa Monica, il chierico Trapè e il sottoscritto alloggiavamo stanza a stanza, attigue.

Come succede tra compagni studenti, ci frequentavamo, io più spesso da lui, nelle ore di studio e di silenzio; per interrompere la fatica del libro, dare sfogo alla nostra vivace giovinezza… (quella del mio confratello non minore della mia; aperto alla cultura letteraria, alla psicologia umoristica dei caratteri di personaggi genialmente descritti, per esempio, don Abbondio. Oh quante risate in perfetta armonia tra lui e me alle battute del don Abbondio, rievocate alla lettura dei Promessi Sposi, ricaricate dalle nostre interpretazioni).

Quel tanto di innocente trasgressività del sacro silenzio che ci permettevamo e ritenevamo legittima vacatio, strappicchiata alla disciplina monastica.

Sant’Agostino ce la passava: ci capiva e ci voleva bene e noi trovavamo battute umoristiche anche da lui.

Proprio quel nostro duetto amicale, che, con qualche inevitabile lieve ferita risanatasi in fretta, è continuato per tutta la vita, mi dà, ora, la tranquilla autorevolezza di tentare un suo ritratto affidatomi da cari confratelli, che tenga conto anche degli aspetti privati, ma intimi, della sua umanità.

In quel periodo, ricordo, si tenevano tornate accademiche che erano più che esercitazioni, di carattere teologico, filosofico, storico; intorno ai temi che interessavano i nostri studi; ricerche ed interpretazioni storiche sull’Ordine agostiniano, quale il vero rapporto di dipendenza con il monachesimo indiscutibilmente storico di Agostino, le vicende della Regola (se scritta per i monaci o per le monache); quale il valore giuridico della Grande Unione realizzata da Alessandro IV nel 1256 (se riesumazione desiderata dalla base di una tradizione agostinianamente autentica attraverso sette secoli, oppure organizzazione monastica nuova, imposta con etichetta antica, solo nominale accozzaglia di monaci vaganti, senza paternità).

In quelle tornate accademiche, non per noi studenti soltanto, alle quali intervenivano e che interessavano personaggi noti e autorevoli amici di noi giovani, Agostino Trapè primeggiava per efficacia oratoria e per il contenuto della sue esposizioni.

Ricordo, come fosse adesso, come esponeva la sua tesi sulla conversione di sant’Agostino: se conversione di carattere filosofico, come alcuni studiosi sostenevano, ovvero una conversione radicale guidata dalla grazia: ciò che lui fermamente sosteneva.

Erano gli anni della nostra giovinezza ma anche della nostra maturazione, prossimi agli anni della piena responsabilità.

Già a quei tempi, l’assunzione di responsabilità da parte dei giovani, aveva una certa anticipazione nei confronti del passato.

Amarezze, contrasti non mancavano; possono aver avuto il sopravvento sulla compostezza della persona, impegnata nella ricerca di una strada personale nella vita monacale e sacerdotale; gli anni avanzavano quasi accelerando per gli avvenimenti drammatici: erano anni inquieti, di guerra; si imponevano soluzioni obbligate, di emergenza, la cui riflessione può aver avuto il sopravvento sull’umore del carattere giovanile ancora non raffermato per età.

 

Anni di giovinezza, mai abbastanza ripensati ora che l’età avanza. Ma anche dalla tristezza dei tempi avevamo la capacità di rifarci.

Tra noi due era una gara all’allegria.

Di che si parlava?

Sant’Agostino, era un destino, ci aveva già drogato.

Per lui, guai a toccarglielo.

Lo gustava, lo declamava in certe stupende pagine delle Confessioni.

Ho incisa nella memoria, la sua voce declamante, quando, nelle Confessioni I, 6, 10 Agostino parla a Dio del «tuo Oggi» che «non si consuma in Te, sebbene si compia. E poiché i tuoi anni non finiscono, i tuoi anni sono il tuo oggi. E tutti i numerosi giorni nostri, e ancora dei nostri padri, ecco, nel tuo oggi passarono e ricevettero misura e modo per esistere; e altri passeranno e tutti riceveranno modo per esistere… Tu, invece, sempre quello. E tutti i nostri domani e oltre, tutti i nostri ieri e addietro, nel tuo oggi li compisti, nel tuo oggi li compirai».

Lui, Trapè, ricordo, era in grado di cogliere il contrasto o giuoco così tipico nello stile agostiniano, di quei tempi: quei remoti e quei futuri riassorbiti nell’oggi di Dio.

Ugualmente, sui problemi del tempo del libro undicesimo, ove Agostino ragiona sciando con la mente e la penna, come su alte innevate vette di montagna.

Così ritorna nella mia memoria, quasi vivo, il mio compagno Trapè.

Leggeva studi e articoli. E se trovava qualche interpretazione che non corrispondeva al suo pensiero (sant’Agostino si presta quale bersaglio di saccenterie gratuite; il suo nome, comunque trattato, fa cultura, Agostino misogino, Agostino guerrafondaio, Agostino fustigatore della sensualità, Trapè insorgeva e anche su punti teologici difficili e equivocati.

Appresso, quando fu maestro, ribatteva con articoli polemici: sua massima: Agostino non si spiega altrimenti che con Agostino...

Lui, come alunno diligente e intelligente, teneva alto il prestigio del Collegio agostiniano di Santa Monica presso i professori della Gregoriana (Hurter, Hocedex, Rosadini, Parenti, Lopex, l’agostinista Boyer, Veermesch).

Di qualche anno avanti a me, andava già pensando alla tesi di Laurea sulla dottrina dell’emulo e contemporaneo di Tommaso D’Aquino, l’agostiniano Egidio Romano.

Io potrei già rintracciare, inquadrandolo in quell’ epoca, il seme delle grandi realizzazioni con le quali ha onorato l’Ordine Agostiniano, e onora anche la sua personalità, consegnandola, in certa misura, al ricordo della storia, quando raggiunse la piena maturità e il livello pubblico della sua azione.

Debbo parlare di padre Trapè e dell’Institutum Patristicum “Augustinianum”, per lo studio e la ricerca scientifica dell’opera dei Santi Padri, della loro conoscenza nella storia. Debbo anche parlare della iniziativa dell’Opera Omnia di sant’Agostino, pubblicazione delle Opere di sant’Agostino tradotte in italiano, testo latino a fronte. Opera gigantesca a cura dell’Ordine Agostiniano in collaborazione con la Città Nuova Editrice.

Monumento!

Realizzazione, ormai conosciutissima nel mondo scientifico.

Creatura sua, di massimo valore sociale e culturale, che onora la Chiesa: intuizione del padre Trapè.

La fondazione del Patristicum Augustinianum ha una sua genesi trapeana.

Che si sia imposto come un’istituzione accademica di grande valore, non cancella l’interesse personale di come è nato, di chi lo immaginò e realizzò, creandone la struttura fisica (la sede) e il complesso accademico.

Vorrei svelare un segreto, credo di indovinare e di conoscere bene, connesso strettamente con la personalità del padre Trapè: ambizione del suo fortissimo amore per il padre ideatore dell’Ordine cui si vantava di appartenere, della famiglia religiosa nella quale si era consacrato a Dio; capolavoro del suo sacerdozio illuminato; monumento e orgoglio suo; contributo eccezionale di studioso dato alla vera cultura del suo tempo, per il bene della Chiesa in mezzo all’umanità.

Intuizione originale e personale, da doverne parlare: perché parlarne spiega la personalità di questo fecondo religioso.

La sua intelligenza, o la psicologia del suo carattere, già da alunno del Collegio Internazionale “Santa Monica” (allora, come oggi, casa di formazione principale per gli studenti di teologia e sacerdoti novelli dell’Ordine), nel contempo studente di teologia presso la Pontificia Università Gregoriana, la Provvidenza lo portò a raccogliere un esempio che fu per lui, penso, straordinariamente stimolante.

Nel cuore di quella famiglia religiosa e della comunità che lo andava formando, Trapè ebbe ogni giorno sotto gli occhi, un esempio, come un germe che lo contagiava e lo nutriva.

Parlo del celebre patrologo, l’agostiniano P. Antonio Casamassa.

L’esemplare che accese nel Nostro la passione della patrologia e, in particolare, dello studio di sant’Agostino, fu questo religioso agostiniano, il P. Antonio Casamassa.

Di lui possiamo considerare erede ed emulo il P. Trapè.

Ma con questa precisa constatazione: il carattere del padre Casamassa era quanto mai riservato: severo e geloso con se stesso, anche nell’esternare la sua cultura generale, in particolare quella patristica; tanto da lasciare poche, seppure preziosissime, testimonianze scritte; era invece fecondo con i suoi allievi degli atenei (ora università) del Laterano e di Propaganda Fide.

Il carattere di padre Agostino Trapè, invece, era aperto, cordiale, desideroso di arricchirsi e di dare, non solo nell’ambito dell’insegnamento e della scuola, ma in tutta la comunicativa della sua personalità.

Agostino Trapè conobbe il Padre Antonio Casamassa e fu suo giovane confratello, convivente, in comunità, come il sottoscritto, durante la sua formazione di studente di teologia negli anni 30 nella Casa Generalizia e di Formazione, Santa Monica (ex-palazzo Cesi, acquistato dall’Ordine Agostiniano negli ultimi decenni del secolo XIX; all’ombra del Colonnato di San Pietro, destinato a Collegio Internazionale, sede di studi teologici, in un primo momento accademici, poi privati).

Debbo notare che giovane studente di teologia Agostino Trapè non ebbe l’insegnamento diretto del Padre Casamassa, che solo per poco tempo insegnò nel Collegio Santa Monica agli alunni dell’Ordine.

Più lungamente, sempre risiedendo in quella Casa, diede le sue lezioni di patristica agli alunni degli atenei del Laterano e di Propaganda Fide.

Nel 1930, per il centenario della morte di sant’Agostino, Casamassa curò la monumentale Miscellanea Agostiniana che gli procurò grande prestigio negli ambienti internazionale della cultura; inoltre, fu autore della voce Agostino dell’Enciclopedia Treccani, tuttora punto di riferimento autorevole.

Quando Pio XI volle onorare il grande Dottore della Chiesa nel centenario della sua morte, si avvalse della piena collaborazione del Casamassa per stendere la sua magistrale Enciclica.

Precedentemente, durante i suoi studi filosofici nel convento di san Nicola a Tolentino, il giovane studente Agostino Trapè aveva avuto sotto gli occhi un altro esempio affascinante, un sant’uomo alquanto bizzarro: il venerando padre Nicola Concetti.

Un cervello nel quale si era riversato tutto il fiume dell’esperienza spirituale e teologica di sant’Agostino.

All’approssimarsi del centenario della morte (1930) del Santo Dottore, l’Ordine Agostiniano si sentì pervaso da un filiale risveglio di amore nel celebrare colui che considerava il primo fondatore del monachesimo di occidente, ispiratore di una corrente monastica che camminasse sulle tracce evangeliche che Agostino aveva condensato in una mirabile regola.

Padre Casamassa con la sua monumentale Miscellanea Agostiniana, padre Concetti con la sua Vita Sancti Augustini e il maltese agostiniano Tonna-Barthet, con la sua De Vita Christiana (libro di sistematica preziosa ascetica agostiniana lodato come una seconda Imitatio Christi) e il commento ai Salmi estratto dall’opera di Agostino Expositio in Psalmos furono gli antesignani di quelle centenarie celebrazioni.

Avvenne che anche la cultura laica volle cimentarsi ad onorare quel grande spirito, Agostino d’Ippona, nel decimoquinto centenario della sua morte.

Scrisse una celebre biografia anche lo scrittore Giovanni Papini, il quale, come è noto, fu amico del prete letterato Giuseppe De Luca

Il colto e bravo prete Giuseppe De Luca, amicissimo di Mons. Giovanni Battista Montini, di Giuseppe Roncalli (morì agli inizi del suo pontificato, da lui assai stimato e rivalutato), era anche amico del padre Casamassa, estimatori l’uno dell’altro.

Onde, affidò al colto agostiniano il manoscritto di Papini. Questo manoscritto giunse anche nelle mani dell’altro agostinofilo padre Nicola Concetti che si impuntò su alcuni rilievi per lui inesatti, chiedendo a Papini, poi glielo ingiunse, pena scatenare pubblica polemica, di correggerli.

Papini e Concetti avevano il medesimo carattere graffiante e bellicoso. Infatti, la guerra esplose.

Concetti, che aveva pubblicato già due biografie di sant’Agostino, una in latino, ne pubblicò una terza, intitolandola: Sant’Agostino antipapiniano, dove ribatteva tesi per tesi lo scrittore toscano.

Dove costui, per giustificare la sensualità del giovane Agostino, puntualizzava I due semi (di Patrizio, il padre, lussurioso e di Monica, casta madre), Concetti ribadiva: Il seme di Adamo (per dare ragione della concupiscenza del giovane Agostino); Papini faceva Agostino Africano, Concetti si ostinava, con deboli argomenti, a farne un Romano.

Polemica divertente che ebbe, allora, degli strascichi.

Trapè, allora giovanissimo, ricordo, non poteva non essere con il suo venerando Concetti.

Chi conosce la personalità psicologica di Agostino d’Ippona, come ce ne parla meravigliosamente lui nelle Confessioni, analizzando lo sviluppo del suo carattere, vede emergere nel ragazzo di Tagaste, soprattutto dai sedici anni in poi, dietro lo stimolo della sua straordinaria intelligenza, un’ambizione, una voglia di imporsi nella società umana, di imitare coloro che, con il proprio ingegno, avevano raggiunto un nome onorato nella storia.

Tra pregi e difetti di un qualsiasi carattere, non sempre il pregio esclude il difetto e viceversa; talvolta, una virtù, prima di essere una virtù, è un difetto. O meglio, non è né una virtù, né un difetto; è una qualità che deve maturarsi, o in bene o in male. Lo stesso sant’Agostino dice: Homines sunt voluntates.

Quando parla dell’acume dell’ingegno, senza il quale nulla si può fare di importante, afferma che l’ingegno è il necessario strumento, indispensabile sia per il bene che per il male(cf. Discorsi nuovi-Dolbeau, 23, 5).

Ebbene, per la conoscenza diretta che ho del mio confratello Agostino Trapè (eravamo tutti e due giovani e siamo cresciuti insieme) posso dirvi, e so di non fargli torto, che il ragazzo Trapè aveva una buona dose di ambizione, chiamiamola così, ambizione scolastica.

Gli piaceva lo studio, gli piaceva eccellere più degli altri nel profitto. Non era un invidioso e aveva sincera ammirazione per un compagno che eccelleva. Ma, pur stimandolo e cercandone l’amicizia, sentiva lo stimolo a rincorrerlo e a raggiungerlo, come fanno due cavalli in corsa. Quella che si chiama emulazione, che, del resto, ci viene raccomandata da san Paolo: Emulamini carismata meliora…

Dopo la breve esperienza dell’insegnamento teologico nella casa di formazione di Tolentino cui fu incaricato subito dopo l’ordinazione sacerdotale e la laurea in teologia, fu chiamato a Roma, nel Collegio Internazionale di Santa Monica a rifondare, nella prima casa dell’Ordine, l’antico Studio Teologico.

Padre Trapè, appassionato da vero entusiasmo per la storia dell’Ordine, in particolare per la gloriosa tradizionale storia degli Studi Teologici agostiniani, conventi generalizi dedicati alla ricerca teologica, sparsi nelle città dell’Europa, dal rinascimento fino al secolo XIX (vero supporto, a quei tempi, della Magistero Ecclesiastico), immediatamente si mise a sognare uno Studio Teologico moderno, con indirizzo patristico, onde recuperare alla famiglia agostiniana l’onore antico della studiosità e la legittima appartenenza ad Agostino d’Ippona, come al proprio padre, fondatore, ideale, già come fisionomia caratteristica.

Lo studio Teologico nel Collegio Internazionale dell’Ordine, Santa Monica, cresciuto a livello accademico pienamente annoverato come Istituto della Chiesa per il conferimento dei gradi sino alla laurea, è posto in un sito quanto mai prestigioso accanto (ma si potrebbe dire nel cuore…) al Vaticano: l’attuale Institutum Patristicum Augustinianum, aggregato alla Pontificia Università Lateranense.

Il padre Trapè, per la rinomanza del suo insegnamento, fu assunto anche presso altre Università Pontificie (Gregoriana, Lateranense); Perito al Concilio Ecumenico Vaticano II, Consultore, inoltre, di Sacre Congregazioni Vaticane, preside dell’Istituto Superiore Caymari del Vicariato di Roma per la preparazione dei Laici alle scienze religiose (et alibi aliorum..); interrompo l’interminabile litania di meriti da elencare.

Tra i Papi, ebbe modo di stimarlo particolarmente Paolo VI, anche lui innamorato e conoscitore di sant’Agostino.

Rivelo, a proposito, un segreto che avrebbe fatto molto piacere a padre Trapè.

Nel comporre, per l’editrice Rusconi e oggi ripubblicata dall’editore Bompiani, la mia biografia Agostino d’Ippona, la ragione e la fede, durante l’estate ero ospite di mons. Pasquale Macchi che conservava l’Opera Omnia ereditata da Paolo VI, di cui era stato assiduo segretario particolare. Tra le pagine di quei tomi, di cui mi servivo, trovavo fogli sui quali Papa Montini, con la sua bella calligrafia, aveva trascritto centinaia di citazioni dalle opere di sant’Agostino. Ne ho riprodotte in parte in un mio volumetto Un anno con Agostino.

Vedremo di far qualcosa di più completo in seguito.

Un volta, in un suo discorso, Paolo VI citò una frase nota, distrattamente attribuita a sant’Agostino. La frase era: Non progredi, regredi est.

Con filiale delicatezza, padre Trapè scrisse a Paolo VI per avvertirlo che la frase era riferita da sant’Agostino, ma apparteneva a Pelagio.

Papa Montini gli fu grato. Capì la grande importanza dell’Institutum Patristicum Augustinianum, e volle recarsi ad inaugurarlo.

La grande fiducia che Paolo VI aveva nella preparazione spirituale e dottrinale del padre Trapè, si manifestò quando lo incaricò di un corso di predicazione alla Curia Vaticana e quando lo inviò a Milano come visitatore della Biblioteca Ambrosiana.

Dalla viva voce del Prefetto Mons. Angelo Paredi, che mi sapeva suo confratello, io ho ascoltato lusinghieri giudizi nei confronti del padre agostiniano che con successo e la piena soddisfazione della Chiesa che è a Milano portò a termine il delicato lavoro affidatogli da Paolo VI.

 

Questo è un mio affettuoso, ma sintetico ricordo del caro padre Agostino Trapè. Ma del cuore che egli ebbe e della sua ricchissima mente, molto resta ancora da dire.

Lui stesso ci ha lasciato confidenze di sé assai belle ed edificanti.

E molti hanno parlato di lui, del suo valore sacerdotale e scientifico; soprattutto della sua straordinaria conoscenza circa la vitale umanità e il genio di sant’Agostino, della sua entusiasmante capacità nel diffonderne la meravigliosa dottrina; soprattutto nel metterlo a contatto con l’umanità di oggi, così bisognosa della sua guida, intellettuale e spirituale: Agostino è l’inventore della fede che illumina la via incerta del ragionamento umano e dell’intelletto che, seguendo la fede, raggiunge la quota fino a Dio.

E’ stato detto che la vita di questo religioso agostiniano, innamoratissimo del grande santo il cui nome suggella la storia e tutta la spiritualità dell’Ordine monastico al quale padre Trapè si onorava appartenere, si riassume in un’espressione che bene la definisce: lo studio come apostolato.

Il padre Trapè si è dedicato con passione straordinaria a questo specifico apostolato; ci si è preparato sin da giovanetto, vi è stato chiamato come Samuele, da una vocazione misteriosa e decisiva.

E’ per onorare quella sua vocazione che ci proponiamo, oltre il dovere dell’amicizia, di raccogliere in queste pagine una memoria più completa possibile e testimoniale di chi, egli, fu tra noi!

Una memoria di cui il padre Trapè è attore partecipe; ricordi che scaturiscono dall’antica dialogante amicizia.

 

 

Padre Trapè ci si confida

 

A conoscerlo, il padre Trapè possedeva quell’istinto naturale di certe persone che muove a passare dal particolare all’universale. Lo chiamerei l’istinto della trascendenza; meglio, lo stupore, la curiosità, l’interesse per ciò che viene dopo la conoscenza naturale e razionale.

Alcuni percepiscono la certezza dell’infinito della vera realtà; convinti che per l’uomo non ci sono le invalicabili colonne di Ercole; si deve andare oltre il conosciuto, oltre la meta acquisita o conquistata mediante la ragione. Oltre la conoscenza razionale, spontanea oppure nello sforzo della ricerca, l’uomo dispone di uno strumento misterioso che lo porta sempre più avanti di quello che, pur con geniale fatica, ha saputo trovare.

Con questo vorrei dire che padre Trapè era radicalmente un agostiniano, cioè che lo era non solo per appartenenza di professione religiosa ed ecclesiastica, ma lo era per conformazione mentale. Lo era in base a quella enunziazione agostiniana che recita il principio filosofico di ogni vero metodo di conoscenza che si rispetti: Crede ut intellegas, intellege ut credas... I tuoi occhi, le tue orecchie hanno percepito e hanno riferito, la tua mente sa. Ma, in interiore homine continua a svolgersi tutto un ulteriore mondo, un panorama infinito da perlustrare, da conoscere… E per perlustrarlo e conoscerlo sono stati dati all’uomo gli strumenti adatti; tanto che rifiutare di usarli, soprattutto per mancanza di fiducia, si resta nella rinuncia e nella limitazione.

Il cammino assegnatoci è infinito: si può fare a tappe, ma bisogna continuarlo senza stancarsi.

Dico questo del mio amico Trapè, ricostruendo e spiegandomi certi aspetti della sua natura, soprattutto, quando giovani studenti, perdevamo tempo, faccio per dire, o mescolavamo la nostra reciproca amicizia, anche un po’ trasgredendo le regole, per rallegrarla con argomenti fuori dello studio incombente, commentando umoristicamente qualche brano letterario, per lo più l’umorismo del Manzoni con don Abbondio, o una strofa dell’Ariosto, anche per dirvi che nello studio teologico, già allora intrapreso con grande impegno, padre Trapè non era un fossore... Insomma, gli piaceva vivere e scherzare sulla vita ed io ne ero il partner, forse solo perché avere questo atteggiamento mi piaceva quanto a lui e la sorte ci aveva collocato stanza a stanza.

Quindi, questi miei sono reviviscenze di gioventù.

Ma debbo onestamente aggiungere che le nostre scene comiche, spessissimo e con uguale godimento sconfinavano nel serio che è dilettevole quanto il comico, perché interessante e curioso.

Soprattutto Agostino che Trapè leggeva assiduamente e già conosceva. Poi la Scolastica, il Dottore Angelico e il suo rivale, l’agostiniano Egidio Romano (Trapè amava metterli da campioni tutti e due sul ring., lui a far tifo, ad assegnare la coppa a questi, più che all’altro, con un po’ di campanilismo).

Mi rallegro quando passo sotto l’antico Palazzo Cesi, ora Casa Generalizia degli Agostiniani, verso la zona Sant’Uffizio - Cavalleggeri: quel nostro corridoio e quelle nostre stanze esistono ancora.

Ma questo mio umano discorso, era solo una premessa: dirvi di quell’istinto accentuato del mio amico di passare dal particolare all’universale che è la legge della buona filosofia. Dalla piccola verità che c’è in ogni piccola realtà, passare, per analogia, alla grande verità.

Ma la piccola verità non deve essere dimenticata o disprezzata, come non è disprezzato alcun piccolo seme. La piccola verità entra nell’archivio del cuore, riceve le carezze dell’intimità e dei ricordi.

 

Ora, entriamo in quell’archivio del cuore del nostro caro amico e rievochiamo la sua vita come egli la vedeva nella memoria di sé, illuminata da Dio che lo aveva fatto e lo aveva fatto per sé.

Padre Agostino Trapè nacque il 9 gennaio 1915 a Montegiorgio, nelle Marche, regione assai fertile a generare vocazioni per l’Ordine Agostiniano (San Nicola da Tolentino, Clemente da Sant’Elpidio...).

Nel battesimo gli fu imposto un altro nome di grande, Dante; egli lo mutò in Agostino, vestendo l’abito agostiniano giovanissimo.

Fanciullo, si mostrava di carattere esuberante, con una spiccata intelligenza disponibile allo studio, doti non comuni di memoria e di ingegno; per lui, un campo agonistico naturale, per imporsi ed eccellere, soddisfare la sua legittima ambizione di uomo prima che limarla con la virtù dell’umiltà religiosa.

Si può dire che, entrato nell’Ordine agostiniano, la consapevolezza di poter divenire figlio di tanto padre e studiarlo per amarlo, in lui fu immediata: in lui l’amore per sant’Agostino nacque da ragazzo seminarista aspirante a quell’ideale sacerdotale e religioso. Cominciò a dedicare tutto se stesso alla conoscenza e alla meditazione di quei grandi problemi teologici che lo accompagneranno per tutta la vita, con spirito di emulazione per tutte le situazioni che ve lo richiamavano.

Superati gli studi ginnasiali, compiuto l’anno di noviziato e affrontati gli studi filosofici e liceali, nel 1933 venne inviato al Collegio Internazionale Agostiniano Santa Monica in Roma per completarvi gli studi teologici.

Allora, gli alunni del Collegio Internazionale, venivano inviati alla Pontificia Università Gregoriana per i gradi teologici accademici, unica e prestigiosa Pontificia Università a Roma; altri istituti (l’Angelicum, il Laterano, Sant’Anselmo, Propaganda Fide) non erano ancora al rango di Università, ma di Atenei.

Il 15 luglio del 1937 fu ordinato sacerdote.

Si laureò in Teologia Dommatica l’anno seguente, 1938, presso la Pontificia Università Gregoriana con la brillante tesi: Il concorso divino nel pensiero di Egidio Romano. Il suo primo lavoro di natura teologica, pubblicato a Tolentino nel 1942, che aprirà la lunga serie dei suoi scritti (oltre cento tra libri ed articoli) a segnare le tappe del suo lungo cammino nella via della conoscenza.

Alle doti di studioso unisce quelle, non meno importanti, di docente. Aveva cominciato con la duplice esperienza di chi ancora studia ma già insegna, rendendosi conto che chi insegna impara, discendo, discitur… (principio ed esperienza di Agostino: alternare la cattedra al banco di scuola, scambiarsi il ruolo di maestro e discepolo).

E insegnante P. Trapè fu dal 1939 all’ultimo giorno della sua vita terrena.

Prima professore di teologia dommatica e patristica presso il Collegio Internazionale «Santa Monica», di cui divenne ben presto Reggente degli studi, incarico che mantenne per 15 anni; dal 1960 al 1983, tranne qualche breve interruzione, fu professore presso la Pontificia Università Lateranense; nel 1964-65 insegnò anche alla Gregoriana e dal 1966 fu Preside e professore del «Centro di teologia per i laici» della Diocesi di Roma.

Si mise a servizio dell’Ordine agostiniano e della Chiesa in numerosi incarichi che gli vennero affidati. Dal 1953 al 1959 fu Assistente generale dell’Ordine per l’Italia e Malta, dall’ottobre 1960 membro della Pontificia Commissione teologica per la preparazione del Concilio Vaticano II, dall’ottobre 1962 perito del Concilio e, con la sua elezione a Priore Generale dell’Ordine, padre conciliare.

Rivendico alla mia amicizia la nomina di perito del Concilio, avendolo segnalato io al Segretario del Concilio, il mio amico mons. Vincenzo Carbone, che ne riconosceva l’alto merito di teologo e che presentò al Segretario Generale, il vescovo, poi cardinale, Pericle Felici.

Il 20 luglio 1960 ne ringraziò direttamente il Pontefice Giovanni XXIII:

Umilmente prostrato ai piedi della Santità Vostra, mi permetta di esprimerLe la mia filiale riconoscenza per la grande paterna bontà con la quale si è benignamente degnata di annoverare la mia umile persona tra i Membri della Commissione Teologica per la preparazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Per rispondere alle Sue auguste intenzioni impegnerò, Beatissimo Padre, tutte le mie modeste energie con dedizione assoluta e con quell’umile amore per la Santità Vostra e per la Chiesa che ho cercato d’imparare, in tanti anni, dall’esempio e dalle opere del Vescovo d’Ippona.

Consapevole però come sono della mia pochezza e della mia insufficienza, imploro sui miei propositi, propiziatrice di celesti grazie, l’Apostolica Benedizione.

Questa nomina e tutto il suo lavoro richiestogli per la buona riuscita del Concilio Ecumenico di cui intuiva la storica importanza, lo riempì di trepidazione mista a gioiosa e orgogliosa commozione. Non ne faceva mistero, e lo scriveva a diverse riprese:

 

In questo delicato lavoro, per la Costituzione della mia Sottocommissione – De deposito custodiendo – insieme al Presidente (della Commissione) il Segretario ha voluto associare anche me. Onore e onere: ma io sento più il secondo che il primo. Ma nel lavoro c’è la soddisfazione veramente intensa di sapere che è speso per gli interessi immediati della Chiesa universale. Questo è tutto, ma non è poco

 

Ti ringrazio cordialmente degli auguri per la mia nomina a membro della Commissione Teologica nel Concilio: il lavoro è cominciato e non sarà facile.

 

Nella Costituzione Lumen Gentium ho avuto parte anch’io – lo dico con soddisfazione – sia prima che nel Concilio, dov’io stavo col cuore trepidante e pieno di speranza.

 

Forse, il suo orgoglio lo portava, da parte dell’Ordine, al ricordo dell’agostiniano card. Gerolamo Seripando che fu segretario generale del Concilio di Trento.

Ma altre numerose furono le incombenze cui l’autorità del teologo agostiniano fu chiamato ad impegnarsi in quegli anni di risveglio e di riforma della Chiesa.

Socio d’Onore dell’Accademia Mariana Internazionale e membro dell’Accademia di S. Tommaso d’Aquino, padre Trapè ricevette numerosi altri ricoscimenti per la sua lunga attività a favore della cultura.

Fu esaminatore apostolico prosinodale del Vicariato di Roma; prima qualificatore poi consultore della S. Congregazione per la dottrina della fede (15-11-65); consultore della S. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari (31-3-73); per la Disciplina dei Sacramenti (31-3-73); commissario pontificio (6-11-72/14-4-73) per la Biblioteca “Ambrosiana” di Milano; consultore per i Sacramenti ed il Culto divino, sezione Sacramenti (20-12-75); consultore per le Cause dei Santi (28-3-80).

Uno dei più importanti incarichi fu la nomina a Qualificatore della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio:

Si affretta a ringraziare il Prefetto, card. Alfredo Ottaviani che gliene dà comunicazione; ma si sente che l’onore che ne prova è motivato dalla stima che la Chiesa dimostra verso l’Ordine agostiniano che fu sempre in cima a tutte le sue ambizioni:

 

Tornato a Roma dopo breve assenza, mi affretto a ringraziare l’Eminenza Vostra Reverendissima per il biglietto con il quale si è compiaciuta comunicarmi la nomina da parte del Santo Padre a Qualificatore della S. Congr. del S. Uffizio.

Mi permetta di dirle, Eminenza, che il gesto dell’augusto Pontefice, pieno di benevolenza e di bontà verso la mia umile persona, mi ha insieme sorpreso e turbato per l’onore e l’onere che me ne viene. Mi è stato però e mi sarà di conforto l’esempio di sant’Agostino, nelle cui pagine ho tante volte sentito riflesso un grande, tenero, disinteressato amore verso la Chiesa.

Voglia esprimere, Eminenza, al Santo Padre i sentimenti della mia profonda e filiale gratitudine insieme all’assicurazione del mio fermo proposito di mettere tutto in opera per rispondere nello spirito del vescovo d’Ippona alle Sue auguste intenzioni...

 

Fu anche incaricato da Paolo VI di un triduo di predicazione all’intera Curia Romana dal 20 al 22 aprile 1966, in peparazione spirituale all’indulgenza giubilare dell’intera Curia Romana. Riportiamo il ringraziamento della Segreteria di Stato, che rese felice il P. Trapè:

 

«Adempio il venerato incarico di esprimere, a nome dell’Augusto Pontefice, i sentimenti della Sua viva lode e riconoscenza per il triduo di predicazione, tenuto dalla P. V. Rev.ma in Vaticano, nell’Aula della Benedizione, in preparazione spirituale all’indulgenza giubilare dell’intera Curia Romana.

Sua Santità, a Cui è giunta da più parti l’eco della comune soddisfazione degli Eminentissimi Signori Cardinali, degli Ecc.mi Prelati e degli Officiali dei vari Dicasteri ed Uffici, Le rivolge il Suo grato compiacimento per cotesta fatica di apostolato, venuta ad aggiungersi ai suoi già gravosi impegni nella guida dell’Ordine Agostiniano e nell’insegnamento, e che Ella ha disimpegnato con religioso zelo, con profondità e vastità di dottrina, con incisiva efficacia di eloquio.

 

Allo scopo di attestargli la benevolenza del Santo Padre per l’apprezzato contributo prestato alla riuscita del Giubileo Straordinario della Curia Romana, il Santo Padre gli inviò la medaglia d’oro del Pontificato, insieme alla particolare Benedizione Apostolica.

La medaglia del Pontefice, con gesto di amore filiale, il padre Trapè volle offrire alla mamma in segno della sua immensa gratitudine di essere stato lo strumento attraverso il quale il buon Dio lo aveva chiamato alla vita.

A sua volta, la buona mamma Maria (il cognome era Fortunati, e donna fortunata fu con tal figlio...) la donò al santuario del SS. Crocifisso di Mogliano (MC), molto venerato anche a Montegiorgio.

Il padre Trapè volle associarsi al dono e alla devozione della mamma, esprimendo i suoi sentimenti con una bella lettera al Rettore del Santuario, datata il 29 dicembre 1969:

 

Mi associo volentieri alla mamma che desidera offrire una medaglia d’oro del pontificato di S.S. Paolo VI al santuario del SS. Crocifisso.

Questa medaglia mi fu offerta dal Sommo Pontefice in occasione di una predicazione in Vaticano ai componenti le Congregazioni Romane, ed io la diedi come ricordo a mia madre, cui dopo Dio andava il merito di quella predicazione.

Ora la mamma vuole offrirla a codesto santuario come un segno di gratitudine al Signore per le tante benedizioni che ha elargito alla nostra famiglia.

Ne sono lietissimo. E non solo per un doveroso sentimento di pietà, ma anche per un caro ricordo dell’infanzia: nato in un’altura, nel comune di Montegiorgio, da dove, affacciandomi alla soglia di casa, potevo vedere di fronte il paese di Mogliano, ho passato la fanciullezza con la visione del santuario del Crocifisso quasi negli occhi e l’eco della devozione, che ispirava ai miei e a quelli del vicinato, nel cuore. Entrato poi nel seminario agostiniano fu un pio religioso di Mogliano – il P. Agostino Gatti – ad essermi maestro e guida amorevole.

Resti dunque questo piccolo dono testimonianza di gratitudine ed insieme di affetto.

Voglia il Signore misericordioso conservare il suo sguardo di bontà sulla mamma e su tutta la famiglia, particolarmente sull’umile sottoscritto, cui ha affidato, in questi anni difficili, un compito ben grave.

 

   

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