Miscellanea

 

Da «L’Osservatore Romano» del 9 maggio1985

 

UN'OPERA COLLETTIVA IN ONORE DI PADRE TRAPÈ

Il P. Agostino Trapè, OSA, preside dell'istituto Patristico Augustinianum, compie 70 anni di età e 45 d'insegnamento teologico‑patristico presso l'Augustinianum e in altre facoltà pontificie, in particolare la Pontificia Università Lateranense. Per l'occasione giungono a lui manifestazioni di stima sia dall'interno dell'Ordine Agostiniano che dal mondo culturale esterno, in particolare quello più strettamente legato alla figura e al pensiero dl S. Agostino, del quale il P. Trapè è un noto ed apprezzato studioso. Egli ha concretizzato le sue ricerche nelle introduzioni all'edizione bilingue dell'Opera Omnia di S. Agosttno in edizione italiana curato dalla Città Nuova editrice, giunta già al 20° volume, e in altre numerose pubblicazioni.
Il suo nome è legato anche alla nascita della Cattedra Agostiniana e all' Istituto Patristico Augustinianum al quale, come supremo moderatore dell'Ordine, diede vita. L'istituto Patristico, inaugurato personalmente da Paolo VI il 4 maggio 1970, ha avuto una visita ufficiale del Pontefice Giovanni Paolo II il 7 maggio del 1982 nell'ambito del decennale di attività dell'Augustinianurn.

Il Padre Trapè, oltre che per le sue doti intellettuali, è anche molto conosciuto per la sua capacità umana di coinvolgere la partecipazione e l'entusiasmo degli altri finalizzandoli al servizio della Chiesa.

L'istituto Patristico, in occasione del suo 70° compleanno, gli ha dedicato, tramite la sua rivista di studi patristici, l'Augustinianum, una Miscellanea di Studi Agostiniani., per complesive 600 pagine, corrispondenti a due numeri della rivista (vol. 25/1-2/1985).

Con tale iniziativa, appoggiata dai professori dell'Augustinianum e da altri cultori di studi agostiniani, si è voluto onorare il P. Trapè stimolando contributi di studi su S. Agostino e l'agostinismo…

La Miscellanea offre 30 contributi distribuiti in due parti, preceduti da una lettera gratulatoria del P. Martin Nolan, superiore generale dell'Ordine Agostiniano, e da un profilo biografico e bibliografico a cura di Franco Monteverde.

La Miscellanea verrà presentata nell'Auditorium dell'Augustinianum «venerdì 10 maggio alle ore 18» dai professori Prospero Grech e Paolo Siniscalco.

Vittorino Grossi

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L’Agostinismo è un capitolo affascinante della storia della cultura cristiana occidentale a cominciare dagli anni stessi che seguono la morte di Agostino, ma per intendere l’Agostinismo stesso, anzi tutti gli Agostinismi che durante i secoli hanno animato la storia dell'Occidente, occorre necessariamente e con rigore richiamarsi ad Agostino e alle sue opere autentiche.

Non si può fare a meno di interrogarsi su tre ordini di problemi, di grande rilievo per la storia dell'Occidente fino ad oggi: il primo, sull'Agostinismo e sulle vicende intellettuali ed esistenziali, dottrinali e disciplinari a cui ha dato adito negli oltre quindici secoli che ci separano da Agostino; il secondo, sui motivi che hanno reso possibili tali vicende; il terzo sull'eredità agostiniana quale si può delineare dalle opere rimasteci, pur tenendo conto delle interpretazioni differenti alle quali esse hanno dato luogo.

Un'operazione che qui si è in grado solo di indicare, ma che, nondimeno, ritengo importante e urgente affrontare in un tempo, come il nostro, il quale, da una parte, vede emergere, in una forma sempre più radicale, un nucleo di ateismo teorico e pratico, che supporta un'area più ampia di indifferentismo e di agnosticismo, e, d'altra parte, avverte con maggior chiarezza, che le crisi e le tentazioni dell'uomo europeo e dell'Europa, non solo interpellano il cristianesimo e la Chiesa dal di fuori, come difficoltà o ostacoli esterni, ma sono vere e proprie crisi del cristianesimo e della Chiesa, come notava Giovanni Paolo II (cf. O.R.7.10.1982). Giusto l'intellettuale, in questo caso lo storico attento alle molteplici dimensioni dei testi con cui ha a che fare, può e deve compiere una tale operazione; un'intellettuale che, se è lecito tracciarne, senza passare per troppo presuntuoso, la fisionomia, e solo in positivo, dovrebbe essere erudito ma sensibile a quanto accade attorno a lui, dovrebbe avere uno spirito di laicità, che vuol dire capacità di esercitare la ragione critica, di partecipare alla vita complessa e diversificata del mondo attuale, senza tentazioni ideocratiche o teocratiche e allo stesso modo guardare i mondi passati,  rispettando la natura e i diritti delle cause seconde, rifacendosi, se è credente, di continuo all'Evangelo, come un punto di riferimento e di ispirazione, ma senza pretendere che la cultura di un tempo o di un luogo determinato abbia esaurito o esaurisca il messaggio evangelico.

Sì, penso, che a studiare, in questa prospettiva, Agostino e l'eredità che ha lasciato, in sé e per sé e pure in rapporto al nostro oggi, sarebbe cosa opportuna e utile. Come è stato scritto [e mi valgo, non a caso, di parole di P. Trapè nel Dizionario patristico e di antichità cristiane (vol. I, 86), che ha avuto come centro per la sua elaborazione l'Istituto Patristico Agostiniano di Roma], si avvertirebbe meglio che “non c’è  solo un Agostinismo teologico e (che) questo non consiste solo nella dottrina della grazia o, meno ancora, della predestinazione; c’è un Agostinismo filosofico, spirituale  e politico; si distinguerebbe meglio tra un Agostinismo che prende Agostino a guida e ne vuol continuare il pensiero, e un Agostinismo che assume solo alcuni suoi princìpi, o sottolinea dottrine che trova in lui solo a livello di tendenza, o ancora si basa su opere attribuite al Vescovo d'Ippona, ma che sue non sono. E risalendo alla fonte stessa, ci si potrebbe interrogare se e in qual modo Agostino abbia, per dir così, reagito di fronte ai grandi binomi, che tormentano il pensiero e la vita umana: «ragione e rivelazione, fede e opere, Scrittura e tradizione, verità e amore, natura e grazia, città terrena e città celeste, tempo e eternità, in una parola, uomo e Dio» (Agostino Trapè, in DPAC, cit., vol. I,87). Si potrebbe veder meglio in quale misura Agostino sia il rappresentante di quella "e cattolica" che Karl Barth non poteva sopportare (cf. U. von Balthasar, Il complesso antiromano, Brescia 1974, p. 302) e che, per ricordare un'altra figura familiare a questi nostri convegni, Alberto Pincherle, non era alieno dal mettere in rilievo. Ci si potrebbe chiedere quale sia stata, nella vita e negli scritti agostiniani, l'incisività di un mistero centrale come quello annunciato dal cristianesimo all'uomo, un'Assoluto,  mai prima pensato, la Trinità, e via di questo passo.

Un discorso, quello qui appena abbozzato, che può sembrare ingenuo, ed al quale si può facilmente obiettare che ciò di cui si è detto, già è stato fatto. Certo molto è stato fatto (anche se non tutto) dagli studiosi, ed egregiamente. Ma ciò che mi interessa sottolineare è il punto di vista nuovo da cui dovrebbe essere ripreso, valendosi evidentemente dei risultati abbondanti acquisiti fin qui. Perché, in certo modo, nuova è la sensibilità, nuovi i problemi, le contingenze storiche che ci troviamo a vivere e ad affrontare ormai vicini all'inizio del terzo millennio della nostra èra.

Alcune date, e prendo date agostiniane, sono a questo proposito significative: nel 1930 è stato celebrato il quindicesimo centenario della morte del Vescovo d'Ippona; nel 1954 il sedicesimo centenario della sua nascita; nel 1986, qui a Roma, nella sede dell'Istituto Patristico Agostiniano, e altrove, ci si accinge a ricordare il sedicesimo anniversario della conversione di Agostino. Tre date fra loro vicine, eppure quanto il nostro mondo dal 1930 al 1954, e quanto dal 1954 ad oggi è mutato per i problemi di fronte a cui si trova, per le prospettive che gli sono aperte dinanzi, per i drammi che ha patito, per le angosce di cui soffre, per le aspettative che coltiva, per le attese che desidera si realizzino.

Cose tutte che hanno un'incidenza diretta sull'interpretazione della storia e delle figure, anche lontane, che ne sono state protagoniste. La storia infatti, riprendendo una nota definizione, pur con i limiti che ogni definizione porta con sé, è «il rapporto, posto in essere dallo storico, tra due piani di umanità, il passato, vissuto dagli uomini, e il presente, in cui si sviluppa tutto uno sforzo inteso a rievocare questo passato perché ne tragga profitto l'uomo, cioè gli uomini che verranno» (H.‑I. Marrou, La conoscenza storica, trad. ital., Bologna 1975, p.35), Un presente dunque, come quello che stiamo vivendo, così denso di mutamenti e di novità, così inquieto e complesso, seleziona gli interrogativi posti ai documenti, ne provoca di nuovi e soprattutto vuole che si colgano, del passato, i nodi decisivi, e Agostino con la sua opera è uno di questi nodi per l'influenza continua e profonda – «la più vasta di tutte» come ha affermato K. Jaspers – esercitata sul pensiero occidentale.

Per limitarmi a due esempi, i quali però sono a mio avviso significativi, si pensi all'interno del mondo ecclesiale, a ciò che ha significato o ciò che significa la separazione tra la teologia come sapere di Dio e la teologia come esperienza di Dio, la separazione, per così dire, tra il teologo "accademico" e il mistico, e si rammenti l'esperienza di Agostino a riguardo, compendiata splendidamente, per non ricordare che una pagina, nell'episodio di Ostia, qual è narrato al termine del nono libro delle Confessioni. La contemplazione è raggiunta tramite un processo intellettuale  animato da un ardore religioso intensissimo (e non per un profondo rapimento della mente nell'orazione, come ad altri è accaduto); e con ciò l'esperienza descritta non si discosta per nulla da quelle di cui ci hanno lasciato memoria mistici posteriori (cf. A. Trapè, Introduz. a S. Agostino, Le Confessioni, Roma 19826, p. CVII; P. Siniscalco, in AA. VV., Le Confessioni di Agostino di Ippona, libri VI-IX, Palermo 1985, p. 107)). Si pensi, non più all'interno del mondo ecclesiale ma nell'ambito del mondo in genere, a ciò che ha significato e significa la rottura tra cristianesimo e cultura, la dissociazione fra fede e pensiero, la fede contro il pensiero, il pensiero contro la fede, l'emarginazione della teologia, l'organizzazione di un sapere autonomo, laicista o "laico", come spesso si dice, la delimitazione del confine conoscitivo della ragione per separazione dalla fede, la visione di quest'ultima come estrinseca all'atto del pensare. E si rammenti l'iter di Agostino al riguardo. Prendo tra i molti a cui sarebbe possibile ricorrere un testo del De praedestinatione sanctorum (2, 5), un'opera, che come è noto, è stata scritta al termine della sua vita, nella quale dunque è compendiata tutta la sua esperienza di uomo e di cristiano. d'intellettuale  e di pastore. «Chi non vede» – scrive Agostino – «che il pensare viene prima del credere. Nessuno crede qualcosa se prima non abbia pensato che è da credersi» e poi precisa: «...lo stesso credere non è altro che pensare con assenso» – e continua –: «In ogni opera buona, sia nel cominciarla che nel perfezionarla, la nostra capacità [il termine usato è sufficentia] proviene da Dio. Così nessuno è capace sia a cominciare sia a perfezionare la fede, ma la nostra capacità è da Dio; poiché la fede, se non è pensata non è niente e noi non siamo capaci di pensare alcunché come da noi stessi ma la nostra capacità viene da Dio».

Fides si non cogitatur, nullas est. Forse da questa e da altre espressioni è necessario partire per riflettere storicamente sul rapporto tra il cristiano e il mondo occidentale. Da Agostino è necessario muovere per comprendere le insufficienze e gli errori, le crisi e le tentazioni, insieme ai lati positivi, del cristianesimo e della Chiesa in Occidente. Da Agostino, anche se, come ovvio, non solo da lui, ma di lui qui si discorreva. È tempo di por fine a queste considerazioni suggerite dalla lettura della Miscellanea di studi agostiniani in onore di P. Trapè, in occasione del suo settantesimo compleanno, a conferma dell'interesse che ha suscitato in me e dell’importanza delle questioni che solleva anche per l'oggi. Se mi è consentito esprimere un desiderio, vorrei che il volume, di cui si è parlato, rappresentasse il primo risultato di ricerche da proseguire; ricerche le quali dovrebbero appunto avere il proprio centro in Agostino e nell'eredità da lui lasciata nei secoli; e non meno potrebbero avere, entro i limiti di una corretta impostazione storica, il proprio sguardo – per dir così – rivolto ai travagli e alle speranze del nostro tempo, non per attualizzare indebitamente ma per cercare di comprendere ciò che è avvenuto, e il punto, non certo definitivo, a cui si è giunti.

Paolo Siniscalco

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Discorso di P. Trapè in ringraziamento alla "Miscellanea" in suo onore.

 

Eminenze, Eccellenze, egregi Professori, Signori e Signore.

Chi è oggetto della benevolenza altrui non può far altro che ringraziare. Se prendo la parola in questa occasione è solo per assolvere questo dovere. Come non so.

Per dire il vero lo ha accennato il P. Grech, avrei desiderato quel discreto silenzio, che sorvola su circostanze anche care in attesa che, passate alla storia, siano revocate e sepolte per sempre. Si è creduto, benevolmente, di fare altrimenti e a me non resta che accettare, con gratitudine, l'omaggio e ringraziarne gli organizzatori.

Insieme a loro vorrei ringraziare tutti voi qui presenti: non vorrei dimenticare nessuno perché tutti siete e sono meritevoli del più vivo ringraziamento.

Ringrazio il Santo Padre non solo per la lettera che mi ha inviato per mezzo del cardinale Casaroli ma anche e soprattutto del telegramma con cui ha voluto essere presente a questa manifestazione. Nel telegramma ci sono delle parole che mi hanno profondamente commosso. Il Santo Padre dice: «Ringraziando Dio con lui per il diurno servizio che ha reso alla Chiesa». Queste parole, ho detto, mi commuovono profondamente perché esprimono il mio più vivo desiderio. Se qualcosa di buono ho potuto fare, è stato Dio a farlo in me e con me, e in questa espressione riconoscete gran parte di S. Agostino.

Dio dunque ne sia ringraziato. Lasciatemi applicare a me stesso le parole con cui S. Agostino termina la sua Città di Dio. Il grande Dottore non se ne dispiacerà. Io non ho scritto una Città di Dio, o qualcosa che si possa pur lontanamente assomigliare al suo capolavoro, ma sulla Città di Dio ho lavorato molto e sto lavorando ancor molto per aiutare i lettori a capire questo capolavoro agostiniano: mi pare di avere acquistato il diritto di servirmi delle sue parole. Dice, dunque, S. Agostino terminando la Città di Dio: «Quanti pensano che in questo libro abbia detto poco, mi perdonino, quanti invece trovano che ho detto abbastanza non mihi sed Deo mecum gratias congratulantes agant. Amen». Io dirò: Se ho potuto far poco, e qualcuno crede e forse molti che ho fatto poco, non mi resta che chiedere perdono. Se a qualcuno, e mi auguro che anche a molti, sembra che abbia fatto qualcosa di utile non mihi, sed Deo mecum gratias congratulantes agant.

Sono lieto di vedere molti di voi che partecipano a questo mio ringraziamento a Dio.

Dopo il Pontefice ringrazio gli eminentissimi Cardinali: il cardinale Parente, il cardinale Garrone, il cardinale Ciappi e il cardinale Casolia. Li ringrazio tutti con affetto per l'amabilità che hanno avuto, strappandosi alle loro occupazioni non poche né piccole, di venire a questa manifestazione, che non vuol essere, mi pare, un omaggio alla mia persona, ma agli studi ai quali ho potuto dedicarmi durante questi molti anni, studi non solo patristici, come hanno detto, come ha detto il P. Grech e il P. Vicario, ma anche teologici, storici e spirituali. Ma mi consentirete di ringraziare in modo particolare il cardinale Parente non soltanto per l'antica benevolenza che ha sempre avuto per me, ma per il fatto che non aspettavo davvero che egli, questa sera, potesse essere presente: se lo ha fatto è perché ha avuto una forte volontà e ha voluto dimostrare un grande affetto di amicizia.

Ringrazio gli eccellentissimi vescovi Monsignor Wan Lierd, Monsignor Aragonesi. Di Monsignor Wan Lierd dirò che abbiamo portato insieme (si ricorda Eccellenza?) fino al 50° anno il peso della scuola qui a S. Monica; e di Monsignor Aragonesi: mi sia lecito ringraziarlo per la benevolenza con cui segue il nostro settore ovest del Centro di Teologia per i laici.

Ringrazio il Vicario Generale dell'Ordine, non solo per le parole che ha detto, ma perché ha voluto presenziare questa manifestazione insieme al consiglio dell'Ordine.

Consentitemi poi di ringraziare i Monsignori che sono qui. Vedo laggiù, in fondo, mons. Piolanti il quale mi chiamò all'Università Lateranense per insegnare S. Agostino, e col quale ebbi l'amarezza di seppellire il latino nell'uso delle nostre lezioni; mons. Del Ton sempre amabile con me; mons. Berti per il sostegno che mi ha dato nel portare il peso – la parola non è scelta a caso – del Centro diocesano di Teologia per laici; mons. Garlato che, nonostante le sue occupazioni nel Vicariato, trova tempo anche per insegnare nel Centro.

Ringrazio tutti gli amici del Centro di Teologia per Laici che sono venuti così numerosi e hanno voluto essere presenti con una parola di ringraziamento al Signore e, loro hanno aggiunto, anche al P. Trapè.

Ringrazio i miei parenti che sono venuti anche da lontano per essere vicini in questo giorno al fratello, allo zio, al cugino. E giacché parlo ai parenti, lasciatemi ricordare i parenti che mi hanno lasciato da tempo, i miei genitori, i quali, quando ebbero per la prima volta in mano quell'esserino, che campava e non campava, che ero io, e corsero in fretta al battesimo perché non morisse senza la rigenerazione, non pensavano davvero che sarebbe campato così a lungo e che avrebbe fatto qualcosa per la Chiesa Santa di Dio.

In particolare ringrazio i professori dell'Istituto e quelli che sono convenuti per l'incontro di studio sull'Antichità Cristiana, incontro – lo dico con estrema compiacenza – che sta acquistando un'autorità europea per la serietà degli argomenti e per la lunga durata: siamo, quest'anno, alla quattordicesima edizione. Tra tutti i professori mi sia consentito ringraziare i due che hanno portato il peso principale di questa manifestazione, P. Grech e il professore Siniscalco. Al P. Grech perdono quello che ha detto con troppa benevolenza nei miei riguardi. Al professore Siniscalco rendo grazie, non solo per la fatica che ha fatto di leggersi quel volumone e riassumerci qui il contenuto, ma anche per le prospettive che ha proposto per il futuro dell'agostinismo: un tema che mi sta estremamente a cuore e sul quale ho lavorato come ho potuto, soprattutto cercando di chiarire le interpretazioni agostiniane, perché partendo da una interpretazione più possibilmente aderente al testo agostiniano, fosse più facile capire le diverse forme dell'agostinismo, che hanno tanto influito i secoli della Chiesa.

Ultimi, ma non all'ultimo posto, ringrazio i professori che hanno preparato la Miscellanea: il P. Vittorino Grossi, che l'ha ideata e portata avanti con non lieve fatica, il P. Guirau che ha speso tante sue ore perché uscisse in modo decoroso, e tutti i professori che aggiungendo fatica a fatica, hanno assicurato il loro contributo. So per esperienza quanto costi, nel momento in cui si è occupati, dover aggiungere al proprio lavoro un altro lavoro, per non lasciare un omaggio, che si prepara per un collega, senza il proprio contributo. E di questo contributo, quindi, professori, io vi ringrazio ancora una volta, e misuro tutta la generosità del vostro animo e la forza della vostra amicizia.

Assolto, così, alla meglio ma con grande sincerità e profonda commozione, al dovere della gratitudine verso gli uomini, consentitemi di elevare in alto il pensiero e ringraziare il Datore di ogni bene, non solo per la vita, ormai lunga, che mi ha dato, ma per il lungo insegnamento che mi ha concesso di svolgere in questi quarantacinque anni. Quello che più mi ha rallegrato e mi rallegra è stata ed è la simpatia degli alunni. Anche di quelli che, in altri tempi, si chiamavano “del Santuario”, cioè i chierici, che sono, a dire di molti, piuttosto di difficile contentatura. Questa simpatia mi ha sostenuto e mi sostiene e, se il Signore o i Superiori non mi diranno di smettere prima, sarò io stesso a chiedere di smettere, ma solo quando mi accorgerò che gli alunni non mi seguono più con l'entusiasmo di sempre. Finora questo segno non l'ho ancora avuto; se arriva, vedrò.

In quanto all'edizione bilingue dell'opera agostiniana, il P. Grech ha pensato molto al futuro ma, com'egli ha accennato, il cammino, anche se ne è stato fatto molto, è ancora lungo. Non nascondo il desiderio di veder compiuta questa edizione bilingue dell'Opera Omnia di S. Agostino, che rappresenta una novità e – diciamo pure la parola grossa – un monumento per la Cultura Italiana. Ma chi dispone tutto è Dio, noi non siamo che servi inutili. A lui la gloria per tutti i suoi doni e a voi, carissimi amici, ancora una volta un cordiale ringraziamento per la vostra fraterna e squisita amicizia.

   

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