Homo Dei

 

– Signore insegnami…

 

Vuoi conoscere un uomo? Conoscerlo a fondo? La conoscenza è atto essenziale: perché uno si conosca singolarmente è dotato da Dio di un organo spirituale meraviglioso, l’intelletto.

Padre Trapè utilizzerebbe più nobile terminologia, ma noi, amici suoi con lui a colloquio, per provocarlo e divertirlo come si fa con amici di grande ingegno che non disdegnano prestarsi alla facezie degli amici più poveri, noi diciamo che l’intelletto per l’uomo è come l’aculeo, il pungiglione dell’insetto: lo conficca nel corpo della vittima per succhiarne il sangue.

L’intelletto è per andare in profondità, dentro!

Si potrebbe usare altra immagine: telescopio o microscopio.

Andarci dentro…

Trapè se la sarebbe cavata con il linguaggio del suo Maestro:

Interior intimo meo.

Intimo, sino al massimo dell’intimità.

Dunque, vuoi conoscere un uomo? Accertati come pensa.

Ma se si tratta di persona a Dio consacrata, per giunta, di un teologo di professione uno specialista di Dio, cerca di sapere come prega.

La qual cosa non è difficile: perché, comunque parlandoti, lui stesso rivela il modo e l’intensità del suo pregare e l’interesse di diffondere la preghiera.

Per farti conoscere il caro amico scomparso Agostino Trapè; o per ricordarti la sua personalità spirituale, come era fatto, come pensava, il motore della sua anima, ecco come pregava, come chiedeva a Dio di insegnargli a pregare, come, nel frattempo, egli stesso si faceva maestro di preghiera.

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Signore insegnami
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SIGNORE, INSEGNAMI

...a pregare

Insegnami a pregare come hai pregato tu.

Come hai pregato sul monte dove hai passato la notte in oratione Dei (Lc 6, 12), nel Getsemani dove hai implorato che ti fosse risparmiata la passione e non sei stato esaudito (Mt 26, 39), sulla croce dove ti sei lamentato dell’abbandono del Padre (Mt 27, 46).

Insegnami a pregare con la gioia con la quale hai ringraziato il Padre perché ha nascosto i suoi tesori di sapienza ai grandi secondo il mondo e li ha rivelati ai piccoli (Lc 10, 21), e con l’amore con il quale, nel cenacolo, hai affidato al Padre i tuoi discepoli e hai pregato per loro e per quanti per mezzo loro avrebbero creduto in te (Gv 12, 20).

Insegnami a pregare come ha pregato la Madre tua nel segreto della casa di Nazaret dove la raggiunse l’annunzio dell’angelo e nella casa di Elisabetta dove intonò il cantico d’amore e di lode per i doni ineffabili che Dio, piegandosi sull’umile sua serva, le aveva elargito; a pregare come pregano gli angeli e i santi nel cielo dove ti adorano, ti lodano, ti ringraziano con amore indefettibile e puro.

Insegnami, Signore, a pregare con fiducia, con semplicità, con perseveranza: con fiducia, perché sei buono e accogli quanti si rivolgono a te, perché non abbandoni mai nessuno se non sei abbandonato; con semplicità, perché sei padre e non ami punire e perdere, ma perdonare e salvare; con perseveranza, perché i tuoi piani, anche quando non ascolti, sono sempre sapienti e misericordiosi.

Sì, o Signore, insegnami a pregare con perseveranza soprattutto quando non mi ascolti, come tante volte hai fatto, come tante volte fai. Eppure, tu lo sai, la preghiera che il tuo Spirito m’infondeva e m’infonde nel cuore era ed è sincera, umile, accorata, fiduciosa. Perché, Signore, non mi ascolti? Ma neppure tu sei stato ascoltato dal Padre! Conferma in me la convinzione che le tue disposizioni son sempre paterne anche quando sono occulte, paterne anche quando sono dolorosamente misteriose. Tu sani anche quando ferisci, sei vicino anche quando sembri lontano, buono anche quando ti mostri severo; tu che non turbi mai la pace dei tuoi figli se non per procurarne loro una più certa e più grande.

Insegnami a pregare con la coscienza viva della colpa che tu solo mi puoi perdonare, della grande miseria da cui tu solo mi puoi liberare, del mio sconfinato bisogno che tu solo puoi soddisfare, del mio profondo desiderio che tu solo puoi saziare; a pregare col cuore anche quando taccio con la lingua, col cuore che grida nel silenzio e anela a te che solo puoi ascoltarlo, esaudirlo, riempirlo; il povero cuore che scivolando sulle cose tenta d’attaccarsi ad esse per chiedere loro un atomo di felicità che non possono dare.

Insegnami a pregare in un colloquio continuo e gioioso con te, mio invisibile interlocutore, che mi hai creato perché esultassi davanti a te; a parlarti, ad ascoltarti, a risponderti; soprattutto a risponderti quando m’interroghi e m’interpelli, quando mi chiedi per darmi, e godi di aver ricevuto benché tutto sia tuo.

Insegnami a liberarmi e liberami dal « multiloquio » che soffro interiormente nello spirito per cui non taccio col pensiero anche quando taccio con la lingua o il pensiero non segue ciò che, pregando, la lingua dice di sublime e di santo, ma si perde e disperde nelle troppe cose vane, inopportune, dannose; insegnami a raccogliere e raccogli tutto il mio essere, la mente, il cuore, la memoria, la fantasia, la sensibilità intorno a te che sei il Santo, perché a te si stringa totalmente e in te trovi l’unità e la pace, le due prerogative che rendono la preghiera come tu vuoi che sia: spontanea, filiale, attenta, continua.

 

...a ringraziare

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Signore insegnami - a pregare
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Insegnami, Signore, a ringraziare, che è il primo, il più grande, il più fecondo dovere di chi sa e riconosce di aver ricevuto tutto: a ringraziarti dei tuoi ineffabili doni.

Tu mi hai creato nel seno di mia madre e hai ascoltato con infinito amore il primo palpito della mia vita nascente e ti sei piegato su di me per accogliermi tra le tue creature, perché fossi insieme all’universo onore e gloria del tuo nome.

Tu hai difeso la vita che mi avevi dato, fin dal seno materno, quando uomini dimentichi della tua legge avevano deciso di sopprimerla prima che vedesse la luce, sopprimerla, dicevano, per salvare quella pericolante di mia madre. Tu invece, Signore, che vegliavi paternamente su l’una e su l’altra, le hai salvate tutte e due, attraverso la pietà dei miei parenti, di mio padre soprattutto, e l’onestà di un uomo che mise la propria scienza a servizio della vita, non della morte.

Grazie, Signore, tu sei la stessa misericordia e i tuoi giudizi sono ineffabili! Ma chi potrà ringraziarti a sufficienza? La tua bontà è senza limiti, la tua sapienza senza numero. Tu hai salvato la vita di mia madre e la mia: quella di mia madre fino ad una età veneranda – 85 anni – dopo averle dato altri quattro figli, la mia fino a questa età non ancora veneranda ma non più giovanile.

 

...a invecchiare

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Signore insegnami - a ringraziare
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Mentre la vita declina e le forze mi abbandonano, insegnami, Signore, a invecchiare.

Insegnami a ringraziarti per il dono della vita che mi hai dato, per i tanti beni di cui l’hai arricchita, per i molti anni in cui l’hai conservata.

Insegnami ad avvicinarmi al termine della mia vicenda umana, così piccola e così breve, in punta di piedi, senza chiasso, né pretese, né rammarichi quando non sia quello di non aver fatto abbastanza la tua volontà e di non averti amato abbastanza; e non solo senza rammarico, ma anche con la gioia nel cuore, il sorriso sulle labbra, la benedizione sulle labbra e nel cuore:

– la gioia per i doni della fede, della speranza e della carità che mi hai dato; della fede che ormai si avvicina alla visione quando la tua bellezza mi sarà svelata e svelato il mistero della mia vita e della storia; della speranza che sta per raggiungere il possesso di ciò che ha sperato e in cui ha creduto; della carità che da incipiente e incerta sta per trasformarsi in carità perfetta e sicura;

– il sorriso, questo dono prezioso e pur tanto raro che ogni uomo può dare all’altro se ha la pace nel cuore, verso coloro che mi sono vicini, verso quelli che tu mi fai incontrare;

– la benedizione per coloro che mi hanno voluto bene e mi hanno fatto del bene, prima di tutto per i miei genitori e i miei cari (mio padre, mia madre, mia nonna, mia zia) e i miei formatori, confratelli ed amici; ma anche per coloro che mi hanno contristato, consapevolmente o no lo sai tu, Signore, per coloro che hanno avuto antipatia per me e hanno pensato di farmi del male (e forse me l’hanno fatto); anche ad essi la benedizione sulle labbra e nel cuore, perché anch’essi, se ci sono stati, hanno servito i piani mirabili della tua provvidenza, che sa scrivere dritto sulle righe storte dei difetti umani, miei e degli altri.

Insegnami a non rattristarmi che le nuove generazioni incalzando mi sospingano ai margini della strada, che mostrino di ignorare quanto ho potuto fare per tua grazia a beneficio comune o lo guardino con disinteresse e disistima; insegnami a trovare naturale che le iniziative da me cominciate vadano avanti senza di me e che coloro che le continuano non sappiano ormai più chi le ha iniziate, che fanno volentieri a meno dell’opera mia e non mi chiedano consiglio per le loro iniziative; e non solo a non rattristarmi ma a goderne accettando volentieri la legge del sorpasso reale o supposto che sia com’è iscritta nei tessuti del progresso umano e dell’umana limitatezza, quella legge alla quale ogni generazione che va deve pagare il tributo, a torto o a ragione, a quella che viene. Anch’io, sapendolo o no, volendolo o no, l’ho fatto pagare a quella che mi ha preceduto quando pensai di far meglio di loro e non ne riconobbi abbastanza, forse, i sacrifici, i meriti, i pregi dei quali ho pur usufruito e goduto.

Insegnami, Signore, a non diventare querulo, amaro, scontento, deluso come chi crede di non aver ricevuto abbastanza dalla vita, di non essere stimato come pensa di meritare, di non essere ricordato quando gli sembra di averne diritto, di non essere amato nella misura che si aspetta; aiutami a non dispiacermi di esser dimenticato da quelli che ho amato ed amo, da quelli cui credo d’aver fatto del bene, da quelli che mi sono stati vicini e mi hanno mostrato benevolenza, amicizia, da quelli che usufruiscono delle mie fatiche; ma ad essere, invece, sereno, gioioso, contento, fidente – fidente in te, Signore, e negli uomini che tu hai creato – e soprattutto grato e soddisfatto del bene che mi hai dato di compiere e che ora, per tuo dono, compiono altri in misura maggiore della mia.

Insegnami a contribuire alla coesione della comunità in cui vivo con l’amore della pace e l’esempio della fraternità gioiosa e paziente, con la sopportazione e, quando sia possibile, la dissimulazione dei difetti altrui, lieto che gli altri sopportino e non tengano in conto i miei, i quali con gli anni dovrebbero diminuire ma che invece, non crescendo la sapienza, aumentano. Insegnami a lodare, a incoraggiare, a promuovere quanto di bene vedo fare intorno a me e, a chi lo fa, se posso e mi viene richiesto, l’apporto del consiglio e dell’opera; insegnami ad incoraggiare ogni nobile intento, ogni nobile iniziativa, ogni nobile sforzo per il Regno di Dio, per il contributo di amore e di opere che l’Ordine deve dare alla Chiesa, senza chiudermi mai, in nessun caso e nonostante tutto, in dispettosi silenzi o in dirompenti malumori.

Insegnami infine, Signore, ad accettare e a sopportare con serena fortezza i mali e le limitazioni che gli anni, passando, arrecano, a non farli pesare su gli altri e, quando ciò non fosse possibile, ad essere grato per ogni aiuto che mi venga offerto, per ogni attenzione che mi venga usata, senza credere mai di essere trascurato o, quando ciò per la fragilità umana realmente avvenisse, a dissimularlo con il sorriso di chi ritiene di aver ricevuto più di quanto meritava.

E quando verranno le malattie foriere della morte – e sarà già un tuo dono se esse verranno e io ne riconoscerò la voce – insegnami ad accettarle come una grazia, come un annunzio del passaggio all’altra sponda dove tu sei ad attendermi, tu che sei giudice e salvatore, ma prima salvatore e poi giudice.

 

...a soffrire

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Signore insegnami - a invecchiare
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Tu hai fatto della sofferenza la pena della colpa e il prezzo della redenzione: partecipe della sofferenza castigo, insegnami a diventare partecipe della sofferenza redenzione. Signore, ch’io comprenda, ed ami e lodi il tuo progetto!

Tu hai lasciato l’uomo correre per la sua strada, fare la sua volontà contro la tua; ma non l’hai abbandonato alla sua sorte: hai inflitto la pena, perché sei giustizia; ma hai promesso la liberazione, perché sei misericordia. Hai voluto che il male della pena diventasse il merito della liberazione perché la giustizia diventasse strumento di misericordia.

Mirabile il tuo progetto, Signore! Tu l’hai attuato nel Figlio tuo che hai voluto che prendesse – ed Egli ha voluto prendere – la condizione di uomo sofferente e mortale, perché con la sofferenza e la morte distruggesse in me l’una e l’altra, e dove era abbondata la colpa facesse sovrabbondare la grazia.

Insegnami ad unirmi con amore e, te lo chiedo arditamente, se è possibile – ma nulla è impossibile alla tua onnipotenza – di unirmi con gioia alle sofferenze del Figlio tuo e della sua Madre Maria; insegnami a comprendere che debbo completare, per la mia salvezza, quello che manca ai patimenti di Cristo; manca, non perché la mia sofferenza aggiunga qualcosa ai meriti di Cristo, ma perché costituisce la condizione indispensabile per diventarne partecipe; insegnami a sopportare la sofferenza – sì, a sopportare perché tu non ci comandi di amarla anche se ci comandi di amar di soffri­re – a sopportare la sofferenza come dovere di espia­zione, come prova di amore, come strumento di salvezza, come mezzo di apostolato, come la speranza, la grande speranza del premio.

Quante ragioni, Signore, per accogliere la sofferenza non solo con rassegnazione, che è troppo poco per un vero discepolo del tuo Cristo, ma con amore e con gioia; con una gioia simile a quella del Figlio tuo che sisentiva come angosciato finché non avesse ricevuto il battesimo che doveva ricevere (Lc 12, 50), o a quella del suo Apostolo che ne era pervaso in ogni tribolazione (2 Cor 7, 4).

Dammi, Signore, di capire questo grande mistero della sofferenza!

 

...a morire

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Signore insegnami - a soffrire
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Signore, insegnami a morire: a morire ogni giorno per impetrare da te il dono di morir bene nell’ultimo giorno che, per chi è nato, è l’unica cosa che importa.

In quel momento estremo nel quale con la morte si compie il mistero della vita, insegnami a sentirti vicino. Mentre la vita terrena si spegne, accresci in me la vita divina che il tuo Spirito m’infuse nel battesimo, accresci in me la fede, la speranza, la carità:

– accresci la fede, perché in quei momenti estremi io abbia la certezza incrollabile che tu sei nell’altra sponda ad attendermi e che mi attendi come l’amico attende l’amico alla stazione dove sta per arrivare dopo un lungo, faticoso e pericoloso viaggio, la certezza che insieme a te mi attendono quelli che insieme a te mi amano e insieme a te e per te io amo;

– accresci la speranza, perché il mio cuore si apra alla grazia e fiducioso si getti nelle braccia della tua misericordia che gode di perdonare per non dover punire;

– accresci la carità perché mi stringa inseparabilmente a te e mi assicuri che mi riconoscerai per tuo, tuo per sempre. Signore, difendimi dall’antico avversario: se fu tempestosa la traversata – e tu, tu solo, sai quanto fu tempestosa – sia tranquilla l’entrata nel porto.

In quell’ultima ora, che sarà la più solenne e la più decisiva di tutte le ore della mia vita, col soffio potente del tuo Spirito insegnami ad invocarti Salvatore perché non abbia a temerti Giudice. E quando il timore dei tuoi giudizi prenderà il sopravvento e mi richiamerà alla mente tutte le mie colpe – molte e gravi – e l’animo sarà sul punto di perdersi affatto, gridami al cuore, gridami forte perché io lo senta, che tu sei morto in sacrificio per me sulla croce, sacrificio che ogni giorno, per tanti anni, ho rinnovato sull’altare e l’ho offerto anche pro innumerabilibus peccatis et offensionibus et negligentiis meis.

Insieme a te mio Salvatore, insegnami ad invocare la mia avvocata e il mio rifugio, Maria, Madre tua e Madre mia, mia perché me l’hai data tu con ineffabile amore; insegnami a invocarla perché mi prenda per mano, come per mano mi prendeva, quand’ero bambino, la mia madre terrena e mi conduceva al tuo altare e m’insegnava a pregare; mi prenda per mano, non più bambino ma sempre bisognoso di protezione, e mi conduca davanti a te e implori per me il tuo perdono e non si muova di lì fino a quando tu non l’abbia concesso.

Insegnami, Signore, a vincere la naturale ripugnanza della morte e ad accoglierne l’annunzio, se mi concederai la grazia, che imploro, di sentirlo e capirlo, con fortezza e serenità, doni del tuo Spirito, anzi con gioia, come l’annunzio del Dies natalis, non quello in cui nacqui per morire ma quello in cui muoio per vivere; come l’annunzio di un incontro lungamente bramato, l’incontro con te, e in te e con te di tutti coloro che mi hanno amato e mi amano ed io ho amato ed amo.

Quando i miei pensieri saranno languidi e confusi, lo sguardo assente e lontano dalle cose, tutte le membra del corpo irrigidite e immobili, e solo il cuore batterà ancora ma sempre più piano, accogli, Signore, quei battiti come la sintesi di tutta la vita e di tutto l’amore che vi hai ispirato. Tu, Signore, e tu solo ascoltasti il primo palpito della mia vita nascente nel seno di mia madre, tu solo ascolterai l’ultimo palpito della mia vita morente prima che si arresti per sempre e il corpo ritorni alla terra da dove l’hai tratto. Ma se il primo palpito fu inconsapevole, sia l’ultimo consapevole e pieno d’amore, e ti dica con il grido della vita che muore – muore lottando contro la morte – che la vita che non muore sei tu, tu la pace, il riposo, la risurrezione.

E poiché in quegli istanti estremi le forze del corpo diventeranno sempre più deboli, vieni a rafforzare quelle dello spirito; vieni con la forza del sacramento degli infermi che rinvigorisce, purifica, solleva; vieni tu stesso nel sacramento dell’Eucaristia che dona al corpo che muore il germe dell’immortalità e compie la tua grande promessa: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno » (Gv 6, 54).

Signore, ascoltami; insegnami a morire con questa grande speranza nel cuore; insegnami a morire bene, che è l’unica cosa importante per chi è nato.

Amen, Amen!

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Signore insegnami - a morire
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Così padre Trapè pregava.

Forse, intendeva anche inventare una traccia nuova o singolare di preghiera.

Era, indubbiamente, come si dice, un uomo di pietà, ma senza pretendere.

La preghiera è libertà.

Ma la preghiera è anche contagio, esempio che trascina.

La preghiera cristiana nacque quando gli apostoli videro Gesù pregare.

Rimasero estatici.

Allora gli dissero:

Signore, insegnaci a pregare!

E Gesù insegnò all’uomo la preghiera più bella, la più universale, la più ecumenica, la più efficace.Una cosa debbo dire: se padre Trapè, nella sua vita, non ha fatto che assimilare sant’Agostino, il suo pregare è il nutrimento di pietà che egli assumeva dalla rifocillazione quotidiana che gli offriva il grande Padre della Chiesa.

Nella preghiera, egli si rivela un discepolo autentico di sant’Agostino.

Preghiera che è fede in Dio, amore per lui, slancio teologico misto a spontaneità di sentimento.

E’ così!

 

Verso la fine nell’alternanza di speranze e delusioni

 

Da anni colpito da un male inesorabile moltiplicò le sue forze, che andavano indebolendosi sempre di più, per mandare sempre più avanti, verso la meta prefissata, il lavoro intrapreso. Mai gli venne meno il grande entusiasmo che lo aveva sempre accompagnato, mai si lasciò sfiorare dallo sconforto o dal timore. Ai suoi pochi e fedelissimi collaboratori era sempre di dolce guida e di conforto, se qualche difficoltà imprevista veniva talvolta a turbarli.

Costretto al riposo assoluto, pensava alla scuola, alle ricerche iniziate, alle introduzioni da finire, ai libri da completare. Nell’alternanza di riprese e cadute, di speranze e delusioni per noi, ha continuato a lavorare, trascinandosi dalla poltrona al tavolo, per ritornare alla poltrona a ripensare alla frase che stava formulando per poi trascriverla alla meglio nel primo pezzo di carta che gli si presentava.

Soltanto raramente le sollecite pressioni dei suoi amici (fortunato per noi e per lui l’incontro con un medico suo alunno e amico) lo inducevano ad usare per la sua salute i necessari riguardi.

A volte, di ritorno dalla scuola, quando soprattutto veniva per ore sballottato dagli autobus - spesso per lui non c’era un altro modo per recarsi a fare scuola -, lo vedevamo disfatto completamente.

È stato suo rifugio, negli ultimi anni, immergersi, con tanta gioia, nel contemplare e descrivere la vita dei suoi cari santi, Agostino, Nicola, Rita e Chiara. Esortava la sua amata Provincia religiosa a tenere sempre in alto e nel cuore S. Nicola, a cui egli era tanto grato « perché presso la sua tomba gloriosa ho incominciato la mia vita religiosa agostiniana e ho appreso l’amore per Sant’Agostino e l’Ordine ».

Aveva già scritto, qualche mese prima di morire, al padre Generale la seguente lettera di rinuncia:

 

Mi permetta di esprimerle per iscritto quanto le ho già detto a voce: la richiesta di essere esonerato dal compito di Preside dell’Augustinianum. La ripetuta malattia e la lunga, oscillante convalescenza mi suggeriscono la richiesta.

La Paternità Vostra, che non dubita certo del mio grande amore e delle mie non poche fatiche per l’Istituto e nell’Istituto, comprende il mio animo.

Per la storia ricordo che fui confermato dalla Congregazione ad triennium (sembra questa la nuova prassi) il 16 luglio 1985, pertanto terminerei nella stessa data del 1988.

In quanto alla scuola son lieto di continuare a farla, « si Dominus voluerit ».

Ricordo poi che ho la nomina da Lei come dal Suo predecessore, a Reggente della Cattedra Agostiniana, che utilmente per gli studi agostiniani si può allargare in Accademia Agostiniana. Vorrei, Domino propitio, continuare: nutro la speranza di poterle dare una più consistente organizzazione che le permetta di continuare e di rendere un vero servizio: gli studi agostiniani, dopo l’esplosione del Congresso, hanno bisogno di essere sviluppati, e ciò da parte del nostro Istituto. Quod faxit Deus!

Con la speranza che voglia prendere in benevola considerazione questa mia, ringrazio della fiducia riposta in me, la saluto e la prego di benedirmi.

 

Negli ultimi mesi aveva lavorato con febbrile alacrità alla stesura di un lavoro che gli stava particolarmente a cuore: l’Introduzione al volume della NBA su La grazia e la libertà, ed ebbe la gioia nelle ultime ore di vederne pronte le bozze. Anche uno scritto divulgativo a grande diffusione su Sant’Agostino - Il Maestro interiore -, portò a termine proprio il giorno prima del suo ultimo ricovero in ospedale, estremo omaggio al suo Maestro di sempre.

Tra le moltissime carte, tra articoli, saggi e studi non ancora pubblicati o non ancora definitivamente redatti, gli Amici hanno trovato alcune paginette di meditazioni spirituali, scritte negli ultimi suoi Esercizi spirituali, quando ormai sentiva approssimarsi il momento del suo congedo terreno.

Queste riflessioni brevi e serene che, sotto un’apparente immagine di semplicità, celano tutta la profondità del teologo, la fede incrollabile del religioso, l’umile bontà dell’uomo costituiscono una specie di compendio di quella che fu la sua vita sacerdotale.

Presentiva l’approssimarsi della fine: l’aveva capito dalle nostre attenzioni e dalle risposte del dottore alle sue domande, dall’apparenza innocenti.

Più il male progrediva, più sentiva il bisogno di solitudine per prepararsi nella preghiera all’incontro, faccia a faccia, con Dio... Voleva e sentiva che doveva prepararsi a morire bene, perché questo deve fare un cristiano e per di più un sacerdote, un teologo e per di più chi è stato anche superiore generale. Spesso diceva: « Attenti a non disperdere l’utilità del dolore e della morte! ».

Negli ultimi mesi si celebrava insieme, ogni giorno, la santa Messa. Ci teneva molto, come ha lasciato scritto:

 

Chi scrive ricorda di essere entrato ancora adolescente, insieme ai compagni di collegio, nella chiesa d’un antico e solitario monastero mentre all’altare maggiore un sacerdote celebrava la messa. La chiesa era quasi deserta o deserta affatto, ma quel pio sacerdote era tutto compreso del tremendo mistero che stava celebrando: si vedeva dall’atteggiamento consapevole e devoto della persona e dai gesti spontanei e misurati. Non ho mai saputo chi fosse, ma quel modo di celebrare la messa, e in una chiesa pressoché deserta - la solitudine non che diminuirlo ne aumentava il valore -, mi colpì profondamente: tornai a casa rafforzato nella vocazione e più deciso a continuare il cammino verso il sacerdozio.

 

Un amore vibrante a Maria, espresso in un lungo sguardo di apprensione e di fiducioso abbandono verso la sua immagine, la santa Comunione, in quella sua stanza di studio e infine la straziante supplica mentre veniva trasportato all’ospedale: «No, nella stanteria dell’ospedale, no! », sono gli ultimi ricordi dell’uomo buono, del maestro e padre.

 

Il suo pio trapasso avvenne in Roma, all’ora di Compieta, nella Festa della Ss. Trinità, il 14 giugno 1987.

 

 

   

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