Testimonianze

TESTIMONIANZE DI CONFRATELLI, AMICI, PARENTI

 

Gioele Schiavella: Padre Agostino Trapè Generale dell’Ordine Agostiniano

 

Nella tarda serata del 14 giugno 1987 padre Agostino Trapè concludeva la sua giornata terrena nella sala di rianimazione dell’ospedale S. Spirito di Roma, a seguito di un male inguaribile.

Io conobbi padre Agostino Trapè sin dall’autunno del 1940: allora era un giovane professore, al secondo anno di insegnamento di Dommatica presso lo Studio internazionale di S. Monica.

Per molti anni abbiamo vissuto insieme a S. Monica, ma fu negli anni 1965-1971, durante il suo generalato e poi, continuando, in seguito, che abbiamo condiviso preoccupazioni e soddisfazioni ad un livello più profondo, più personale.

La sua nascita fu dovuta ad una coraggiosa decisione dei suoi genitori: Federico e Maria Fortunati. Dopo di lui la madre ebbe altri 4 figli ed è morta all’età di 85 anni.

Al battesimo gli fu imposto il nome di Dante, che cambiò in quello di Agostino alla professione dei voti, che emise il 13 ottobre 1931, al termine dell’anno di noviziato. Fu in quell’anno -come amava ricordare - che imparò a conoscere e ad amare la Regola di sant’Agostino.

I suoi superiori, scorgendo in lui doti non comuni di intelligenza e una singolare inclinazione agli studi, lo destinarono all’insegnamento. Ed è stato questo l’impegno di tutta la sua vita. Chi possiede la virtù della studiosità - dirà nel discorso inaugurale del Convegno internazionale di studi nell’Ordine - comprende chiaramente che le fatiche dello studio sono un mezzo di purificazione, un nutrimento della pietà, un campo di apostolato.

La profonda convinzione che la spiritualità agostiniana è un tesoro che dobbiamo conoscere, possedere, sfruttare per noi e per la Chiesa, lo indusse a focalizzare la sua attività di studioso principalmente sulla figura e sulla dottrina di sant’Agostino, di cui divenne uno dei più approfonditi conoscitori e appassionati divulgatori, con la parola e con gli scritti.

Dal Capitolo generale del 1965 venne eletto Priore generale dell’Ordine. Restò in carica fino al 1971, e fu un sessennio ricco di iniziative di particolare importanza, pur in un tempo, siamo nel 1968, carico di profonde divisioni e di disorientamento non solo all’esterno della Chiesa, ma anche all’interno della Chiesa. In effetti il suo generalato si rivelò come uno dei più dinamici degli ultimi anni.

Nel 1968, dopo un’accurata preparazione, presiedette il Capitolo generale speciale per la revisione delle Costituzioni dell’Ordine, a Villanova Pa (USA), secondo le direttive del Concilio Vaticano II. Nel discorso di apertura ricordò il capitolo di Ratisbona del 1292. Fu il primo Capitolo Generale dell’Ordine celebrato fuori d’Italia con il compito di promulgare le prime Costituzioni. Così, notava Trapè, quello che si stava celebrando in America era il primo ad essere celebrato fuori d’Europa ed aveva lo scopo di preparare e promulgare il testo delle nuove Costituzioni. Il Capitolo presentò rilevanti difficoltà, ma egli seppe guidarlo con grande equilibrio tra gli scogli di immobilismo da parte di alcuni e quello di immotivate spinte in avanti da parte di altri. Prova ne è che sostanzialmente il testo delle Costituzioni è quello che abbiamo ancora oggi dopo 20 anni a differenza di altri Istituti ed Ordini religiosi.

Dal 31 agosto al 6 settembre 1969 l’allora Priore Generale presiedeva il primo Congresso per la Promozione degli Studi dell’Ordine. Ebbe luogo nel monastero dell’Escorial. Vi parteciparono 53 agostiniani.

Fu in quell’occasione che padre Trapè fissava le quattro caratteristiche di cui doveva essere dotato un docente agostiniano. Diceva: Studiositas, religiositas, ecclesialitas, augustinianitas. Furono le doti che in fondo distinsero padre Trapè: studioso, religioso, ecclesiale, agostiniano.

La storia lo ricorderà come colui che ha saputo indicare delle mete da raggiungere, facendosene promotore: la rinascita della Provincia polacca, il ritorno degli Agostiniani in Portogallo e in India; la missione di Chuquibambilla (Perù) sulle impervie zone montagnose dell’Apurimac; la creazione della OALA per una migliore organizzazione dell’attività pastorale degli Agostiniani in America Latina; l’incremento degli Studi ecclesiastici, particolarmente patristici; il costante sostegno al Collegio internazionale di S. Monica come centro di studi e formazione dei giovani alla spiritualità agostiniana; una maggiore attenzione alle monache di vita contemplativa e alle suore agostiniane di vita attiva, che riuniva in federazione (USMAI); il valido apporto alla riscoperta delle fonti della spiritualità dell’Ordine.

Si mostrava felice di poter mettere a disposizione di chi gliene facesse richiesta il vasto patrimonio culturale che aveva accumulato durante lunghi anni di studio e di ricerche.

Dall’ottobre del 1960 fu membro della pontificia Commissione teologica per la preparazione del Concilio Vaticano II; dal 1962 prestò il suo servizio come Perito e, dopo la sua elezione a Priore Generale, come Padre Conciliare.

Notevole fu il contributo dato alle Congregazioni romane.

Il servizio del padre Trapè alla diocesi di Roma ha trovato in due distinte attività la sua espressione più consona al suo temperamento di studioso e di professore dalla parola facile e convincente. Come esaminatore apostolico sinodale del Vicariato di Roma, si impegnò in prima persona, con l’incarico di moderatore e di revisore dell’opera, alla redazione del Breviarium Theologicum: il sommario teologico, giuridico e pastorale di oltre 350 pagine edito dal Vicariato di Roma (1976), per una adeguata preparazione dei candidati ai ministeri e agli ordini sacri. Egli ne elencò lo schema delle tesi insieme ad un gruppo di studiosi e con una collaborazione sapiente sviluppò lo stesso schema in tesi. Così scriveva grato il 15 Dicembre1959:

Eccellenza Rev.ma.

Ho consegnato alcuni giorni or sono a Don Berti di codesto Vicariato, il tesario di dommatica, che mi aveva chiesto di approntare, per gli esami dei candidati al sacerdozio.

L’ho fatto volentieri, lieto di portare un qualche contributo, anche minimo, ai lavori del Sinodo.

Il Centro Diocesano di Teologia e di Formazione dei Laici all’Apostolato è l’altro grande servizio che egli rese alla Chiesa locale romana. Assertore tenace della tesi secondo la quale la testimonianza del cristiano, per essere convincente, deve essere prima di tutto frutto di un’intima personale convinzione - molti dei suoi alunni ricorderanno il suo motto: Essere convinti per essere convincenti -, padre Trapè vedeva appunto nel Centro uno strumento efficace, come spesso ripeteva, per difendere e diffondere la fede in tutti gli ambienti, anche quelli a prima vista più freddi o addirittura ostili.

Preside fin dalla fondazione, insegnò per lunghi anni Filosofia e Teologia Dommatica presso la sede del Settore Ovest dove tanti ancora lo ricordano e lo rimpiangono come padre oltre che venerato maestro.

Fino all’ultimo, già minato dal male, padre Trapè ha seguito il Centro con autentico amore, desiderando informazioni su tutte le problematiche didattiche ed organizzative e fornendo il suo discreto ma autorevole consiglio che, tante volte, si è rivelato risolutore anche dei casi più delicati.

Tra le tante iniziative padre Trapè si è distinto anche come scrittore fecondo.

La scuola era per lui un campo di lavoro apostolico ove profondeva con amore parte delle sue fatiche e ne ritraeva una intensa soddisfazione. Per decenni alternava le lezioni all’Augustinianum e alla Pontificia Università Lateranense. Preparava con cura le sue lezioni. Aveva il dono di farsi comprendere anche dai meno preparati intellettualmente, per quelle sue lucide sintesi che sviluppava con chiaro ordine logico. Si faceva guidare da un radicato sensus Ecclesiae, che lo teneva alieno dal prurito di novità. Erano proverbiali la sua devozione al magistero della Chiesa e la sua profonda devozione al Papa.

Possedeva una memoria non comune: le lunghe citazioni agostiniane che sciorinava con molta naturalezza e sicurezza, spesso in latino, ne sono una testimonianza. Molte persone ricorrevano a lui, spesse volte anche dalla Segreteria di Stato, per sapere se il tal testo fosse di sant’Agostino e dove si trovasse. Di solito la sua risposta era pronta, senza nemmeno il bisogno di consultare i testi.

Alla passione dello studio univa un amore così ardente verso Agostino, suo ispiratore e padre, che a lungo andare contagiava i suoi uditori per il modo entusiastico con cui ne parlava. Di qui però quel nervosismo, che non riusciva a dissimulare, di fronte alle distorsioni del pensiero di Agostino da parte di autori che riteneva di parte o male informati.

Nel 1983 aveva fondato l’Accademia agostiniana, di cui fu preside e professore fino alla morte. Secondo una sua definizione, pronunciata in occasione dell’udienza pontificia concessa ai professori e agli alunni il 9 luglio 1984 l’Accademia è ...un corso biennale o Istituto Superiore di studi filosofici a specializzazione patristica, integrato con un dipartimento di scienze umanistiche.

Il nome del padre Trapè è legato al successo di due grandi imprese per le quali ha speso le sue migliori energie per oltre 30 anni.

Egli aveva intuito l’enorme importanza, per la vita della Chiesa nel periodo post-conciliare, dell’approfondimento del pensiero teologico dei Padri della Chiesa. Voleva inoltre che l’Ordine agostiniano riscoprisse la sua missione connaturale di studiare e diffondere la dottrina e la spiritualità di sant’Agostino.

Per conseguire le due finalità egli ritenne indispensabile la creazione di un Istituto patristico a livello universitario, altamente specializzato. Nel 1969 otteneva dalla Santa Sede, nel rapido giro di poche ore, grazie alla sua determinazione, al suo prestigio e alle forti amicizie, che lo studio teologico Santa Monica venisse eletto ad Istituto patristico, con possibilità di conferire agli studenti i gradi accademici fino alla laurea in specializzazione patristica. La rilevanza di questo evento è che non soltanto a Roma, ma in nessun altro paese vi era stata fino ad allora una università cattolica che si dedicasse completamente allo studio dei Padri latini.

Il 4 maggio 1970 ebbe la soddisfazione di accogliere - era allora Priore Generale dell’Ordine - Paolo VI, venuto personalmente a benedire ed inaugurare la nuova sede dell’Istituto patristico Augustinianum, che padre Trapè aveva tenacemente voluto e realizzato con l’apporto finanziario dell’Ordine agostiniano. Facevano corona al S. Padre 21 cardinali, eminenti personalità del mondo culturale, superiori delle varie Province dell’Ordine. Dopo aver benedetto l’istituto, in un discorso il Papa ne rilevò l’importanza ai fini dell’approfondimento del pensiero teologico dei Padri e della valorizzazione del ricco patrimonio in esso contenuto. Dal 1981 fino al giorno della sua morte padre Trapè è stato preside dell’Istituto.

L’altra impresa è la pubblicazione in edizione bilingue di tutte le Opere di sant’Agostino.

Padre Trapè ne è stato il fondatore e il direttore, ha scelto i collaboratori e la casa editrice, ha curato la Introduzione ad una diecina di volumi, ne ha sollecitato il finanziamento iniziale presso persone amiche. Non si è lontani dal vero nell’affermare che il risveglio degli studi agostiniani in Italia e il rinnovato interesse per la persona di sant’Agostino, di cui si fanno portavoce numerose opere a carattere scientifico, spirituale e pastorale, molto devono a queste due iniziative a cui padre Trapè ha contribuito in modo determinante.

Gli ultimi tempi della sua vita, mentre l’infermità lo obbligava a pause forzate di lavoro, si è impegnato, quale preside dell’Augustinianum, alla organizzazione del Congresso internazionale di studi agostiniani (15-20 settembre 1986) in occasione del XVI° centenario della conversione di sant’Agostino, a cui hanno partecipato circa 400 studiosi di varie parti del mondo.

Il segreto di tanto dinamismo? Padre Trapè aveva una straordinaria resistenza al lavoro intellettuale. Era solito prolungare le ore di studio fino a notte inoltrata e quando, il caso non era infrequente, il sonno tardava a venire, preparava mentalmente schemi di conferenze o cercava le soluzioni più idonee a problemi che gli si presentavano.

Aveva ereditato dal padre, Federico, un senso sacro del dovere e dell’onestà. Non si risparmiò decisioni impopolari che gli procurarono ostilità e sofferenza. In quei casi preferiva soffrire in silenzio, benché fosse dotato di indubbia abilità dialettica.

Aveva il culto dell’amicizia.

Ha vissuto con fede la sua malattia, accettandola con piena conformità alla volontà di Dio, come amava esprimersi.

Alcuni suoi appunti, venuti alla luce solo dopo la sua morte, ci aiutano a comprendere la sua indole profondamente umana e cristiana.

 

 

Prospero Grech (in occasione del 70° compleanno del padre Trapè): Il Padre Agostino Trapè e l’Augustinianum

 

Vi invito tutti a cogliere l’occasione di onorare il padre Trapè.

Egli non voleva proprio sentir parlare di festeggiamenti, ma, poiché questi ultimi tre giorni l’« Augustinianum » tiene il suo Congresso Patristico annuale, ne approfittiamo per presentare la Miscellanea a lui dedicata.

È un omaggio che si è guadagnato con i suoi settanta anni di lavoro. È un libro scientifico che comprende una collezione di articoli di eminenti agostinologi.

Siccome personalmente non ho potuto contribuire a questa Miscellanea, perché non sono uno specialista di sant’Agostino, faccio almeno questo piccolo omaggio al padre Trapè.

Certo il padre Trapè non ha bisogno assolutamente della mia presentazione, e nemmeno che io ne racconti le imprese.

Io vorrei, però, soltanto fargli gli auguri per tutto ciò che dovrà ancora fare nello spazio di vita che il Signore nella sua generosità gli vorrà concedere. Per augurare il futuro e per narrare ciò che dovrà continuare, per forza debbo riferirmi al passato. Padre Trapè con suoi settanta anni non è affatto emeritus. Anzi deve continuare a lavorare: senza di lui l’Istituto non può portare a termine le tante cose che egli ha felicemente cominciato.

La vita di padre Trapè si può riassumere in una frase: è stata un apostolato dello studio. Vorrei sottolineare, specialmente per i nostri studenti, le parole apostolato dello studio, perché anche lo studio è un apostolato, e non soltanto il lavoro parrocchiale. Lo studio è un apostolato che richiede un duro periodo di preparazione e anni di sacrifici, però, a lungo andare, porta frutto abbondante.

Padre Trapè si è dedicato anima e corpo all’apostolato dello studio. Ha insegnato sempre nel Collegio internazionale di Santa Monica, per dodici anni all’Università Lateranense; ha dettato corsi di sant’Agostino alla Gregoriana. È fondatore, direttore e professore della Cattedra agostiniana - che diventerà l’Accademia agostiniana -, ove si divulga di più la dottrina teologica e filosofica di sant’Agostino.

Vedo qui moltissimi alunni della teologia per laici. Da vent’anni padre Trapè è preside della scuola di teologia per laici della Diocesi di Roma - di cui ci sono tre centri in città -, ove son passati già migliaia di alunni. È lui che ha organizzato questi corsi, è lui che ancora li guida e che, fino all’anno scorso, in diversi settori vi ha insegnato teologia dogmatica. Quindi c’è mezza Roma che lo conosce attraverso la teologia per laici.

Voi state adesso qui, in questo bell’Istituto Patristico. È proprio riguardo l’Augustinianum che vorrei dire molto su padre Trapè. Verso l’anno 1950 o 1952 i superiori dell’Ordine, per diverse ragioni, avevano chiuso il Collegio internazionale agostiniano, un Collegio che era esistito più o meno dal 1290. Il padre Trapè, che dal 1953 al 1959 fu Assistente Generale dell’Ordine, convinse il padre Generale di allora di riaprire questo Collegio. Immediatamente la riapertura diede i suoi frutti. Nel 1954 vi si tenne il Congresso italiano di filosofia agostiniana i cui Atti furono raccolti nel volume: Sant’Agostino e le grandi correnti della filosofia contemporanea; nel 1956 il Congresso di spiritualità su sant’Agostino, anch’essi raccolti nel volume: S. Augustinus, Vitae spiritualis Magister. Nell’anno 1960 il nostro Collegio internazionale, Studium Augustinianum, come si chiamava allora, ottenne l’affiliazione da parte della Pontificia Università Lateranense, con facoltà di dare il baccelleriato. Nel 1965 ricevette la facoltà di dare anche il diploma di Licenza.

Nel frattempo, eravamo nel 1965, padre Trapè fu eletto Priore Generale dell’Ordine. Immediatamente ottenne che il nostro Collegio fosse incorporato alla stessa Università Lateranense, con la specializzazione sugli studi Patristici. Sorse così l’Augustinianum. Se ha avuto successo lo dobbiamo tutto all’iniziativa di padre Trapè.

Ma non parlo soltanto dell’opera culturale dell’Istituto: anche come edificio l’Istituto è stato da lui curato, proprio come il Cupolone da Michelangelo, mattone su mattone.

Un’altra impresa di padre Trapè - e veramente un’impresa gigantesca che nessuno, compos mentis suae, avrebbe mai osato, ma che il padre Trapè non soltanto ha sognato ma ha anche realizzato - è l’edizione bilingue delle Opere di sant’Agostino, stampata da Città Nuova. Già pensare ad un’impresa tale era un atto di coraggio, occorreva però cercare i soldi per finanziarla, trovare inoltre i traduttori, i revisori, i commentatori, chi fa gli indici. Infine, chiunque abbia avuto da combattere con le case editrici nella sua vita, sa che cosa comporti patteggiare con esse.

Ormai più di venti volumi sono stati pubblicati, si è arrivati forse a metà delle Opere di sant’Agostino. Che il Signore conceda a padre Trapè di vedere l’Opera Omnia completa prima di cantare il Nunc dimittis.

Come se questo non bastasse ha anche fondato la Piccola Biblioteca Agostiniana, che è una Collana ove vengono raccolti testi agostiniani di più facile comprensione.

Credo di aver parlato abbastanza su l’apostolato dello studio di padre Trapè, un apostolato espresso con i libri, con l’Istituto, con la scuola. Spero che il Signore gli concederà di vedere i figli dei suoi figli, fino alla terza e quarta generazione. Io stesso sono figlio di padre Trapè, perché sono stato suo discepolo dal 1946 fino al 1950. Anch’io ho... figli di figli, quindi il festeggiato già comincia a vedere... la quarta generazione dei suoi studenti...

Non ho detto molto sull’attività di padre Trapè a servizio dell’Ordine Agostiniano. Posso soltanto menzionare questo: nel 1968, mentre era padre Generale, si tenne il capitolo per il rinnovamento delle Costituzioni dell’Ordine. All’inizio e a fondamento di esse vi è un senso di spiritualità agostiniana così marcato da meritare anche le lodi della S. Congregazione dei Religiosi. Molti altri Ordini si sono ispirati a queste Costituzioni perché hanno un’impronta di spiritualità che esula dal solito genere letterario di Costituzioni.

Il padre Trapè ha fatto moltissimo per le Suore, per le Monache, per le Missioni dell’Ordine.

In forma molto privata ha lavorato indefessamente anche per la Santa Sede, in particolare per la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui è stato consultore per molti anni.

Credo di avervi convinti che questi settanta anni di padre Trapè non sono stati spesi inutilmente.

Se dovessi menzionare i suoi scritti, non finirei per adesso.

Credo che ormai siate d’accordo con me che questa Miscellanea se l’è guadagnata con il proprio sudore.

Deve adesso soltanto continuare per portare a termine le opere iniziate.

Grazie carissimo padre Trapè, e ad multos et fructuosos annos!

 

 

Remo Piccolomini: Padre Agostino Trapè, fondatore della Nuova Biblioteca Agostiniana

 

Da molto tempo so della preparazione di un libro - testimonianza sul padre Agostino Trapè. Carlo Cremona se ne assunse il compito; purtroppo la morte ha interrotto questo impegno; altri però lo stanno conducendo al termine.

Nella “memoria di tanti altri amici”, di cui parla Cremona, c’è anche la mia, certamente, non ultima perché ad essa si potrebbe aggiungere anche quella di tanti altri, che non sono nominati, ma che ci sono, e…sono tanti.

Parlare di padre Trapè, quando i ricordi si susseguono con un ritmo sempre incalzante, significa tornare indietro nel tempo e recuperare certi spazi di vita vissuta che hanno lasciato il segno. Sono pietre miliari, punti di riferimento che indicano la via da seguire e ti obbligano ad un continuo esame con te stesso.

Tutto questo perché padre A. Trapè è stato non solo per me ma per tutti quelli che gli sono stati vicino, una guida e un maestro.

A parte l’acutezza d’ingegno, che ha trovato nell’analisi di grandi problemi teologici il modo di esplicitarsi, l’amore per sant’Agostino ha caratterizzato non solo la sua vita, ma la sua attività di ricercatore e di studioso appassionato... Una passione che, agendo a macchia d’olio, ha coinvolto interessi, sollecitato l’accostamento e, di conseguenza, favorito la crescita.

Ecco perché la figura di Trapè occupa un posto di rilievo non solo nella storia della comunità agostiniana, ma soprattutto in quel rapporto interpersonale che egli riusciva a stabilire con tutti. Una esuberanza interiore che si traduceva in una disponibilità accattivante, in un incoraggiamento che andava al di là dell’elemento occasionale per trovare un riscontro sul terreno fertile della verifica.

Le conversazioni con lui diventavano così la scoperta di un nuovo orizzonte, un piacevole invito alla partecipazione e all’arricchimento.

Il padre Agostino Trapè è stato mio professore di teologia nell’immediato dopo guerra, e precisamente, negli anni 1946 - 1950, nel Collegio Internazionale di Santa Monica in Roma; in più ho avuto la gioia di averlo come direttore spirituale e confessore negli anni delicati della mia formazione religiosa. Per quanto riguarda l’insegnamento, ammiravo la profondità, la sicurezza, la chiarezza del suo metodo di insegnamento. Chi seguiva le sue lezioni, non aveva bisogno di altri testi, se non per integrare quanto era sfuggito nel prendere appunti durante le sue lezioni. Egli sapeva e sapeva trasmettere con entusiasmo e trasporto quanto conosceva.

Per quanto riguarda poi il fatto di averlo avuto come confessore, vi assicuro: a lui debbo se ho continuato nel santo proposito; mi è stato insieme maestro, fratello maggiore, amico, e ha continuato ad esserlo fino a quando sorella morte non lo ha portato via. Ora che non c’è più, la sua assenza è più presente di prima e continua ad essere maestra di vita.

Agostino Trapè è stato l’ideatore, il programmatore, il fondatore della Nuova Biblioteca Agostiniana; il suo fiore all’occhiello come l’Augustinianum. Di essa ha visto la pubblicazione dei primi ventisette volumi; altri poi hanno continuato il suo ambìto progetto e l’hanno portato a termine: con il mese di giugno dell’anno 2004 si è chiusa la fase della pubblicazione dell’Opera Omnia con il volume Contro Fausto manicheo.

Tra i continuatori della NBA ci sono anche io, in qualità di Direttore dopo la sua morte; e questo lo dico “con rossore”. Perché? Sostituire il padre Trapè, per me, era come sostituire un geniale professionista con un manuale; era imbarazzante. Lo scrittore Giovanni Papini nella sua opera Sant’Agostino dice di assomigliare al grande Agostino, ma “come una formicola con le ali può assomigliare a un condor”. Spero che il letterato fiorentino, purtroppo ora dimenticato, non si offenda se prendo in prestito le sue parole per dire che la distanza tra il Trapè e me è ancor più di “una formicola con le ali e un condor”.

Se questa distanza, per un verso, è marcata, non lo è per un altro. Il padre Trapè, oltre ad avere una grande cultura ed una profonda conoscenza del pensiero del Vescovo d’Ippona, aveva la dote di comunicare con entusiasmo quanto diceva. In altre parole ti metteva dentro, anche se uno non l’aveva, la passione, la febbre. Questa lezione, mi si perdoni un po’ di orgoglio, l’ho imparata abbastanza bene.

Maestro impareggiabile di dottrina, grande comunicatore nell’offrirla, passionale e gioioso nel trasmetterla, amico generoso, sempre pronto ad incoraggiare, aiutare chiunque gli avesse chiesto qualcosa.

Ma ancor più vivi e intensi mi rimangono i contatti che ho avuto con lui negli ultimi anni quando la sua amabile curiosità, quella naturale istintiva spontanea tendenza a favorire il dialogo, mi aveva portato a cogliere gli aspetti meno appariscenti ma non per questo meno affascinanti della sua personalità. Un giorno, conversando, manifestavo un po’ di invidia per la sua conoscenza delle opere e del pensiero di Sant’Agostino; di tutto punto mi rispose: “Giovanotto, non è necessario conoscere tante cose, mentre occorre conoscerne poche e bene; ciò che è veramente necessario, metterci amore nel trasmetterle, come se fossero tue: Provaci! Vedrai i frutti che, abbondantemente, raccoglierai per te e per chi ti ascolterà”.

Quanto è stato vero! Chi semina con gioia, con gioia raccoglierà frutti e abbondanti.

Ora che padre Trapè non c’è più, la riconoscenza, la gratitudine acquistano una dimensione che non può essere circoscritta e definita entro l’ambito angusto di un ricordo evocativo. Ha bisogno di qualcosa che cementi la presenza e ne renda viva la figura.

È un’eredità quella lasciata da Trapè da cui tutti noi possiamo trarre profitto perché la comunità agostiniana trovi energie nuove ed entusiasmi rinnovati sulla scia della continuità e dell’accettazione.

Per me egli rimane un esempio di vita, di coerenza, di amore, di testimonianza agostiniana, e soprattutto di dedizione alla vita e allo sviluppo dell’Ordine.

Ora che padre Trapè «vive nel seno di Abramo... ove attinge la Sapienza quanto può e vuole, infinitamente beato, non credo che tanto se ne inebri da scordarsi di noi perché Tu, Signore, a cui»padre Trapè«attinge, di noi ti sovvieni».

Grazie, padre Agostino!

 

 

Emilio Zander: Il Padre Agostino Trapè e l’Opera Omnia di Sant’Agostino

 

Consapevole della fondamentale importanza, per la cultura filosofico-teologica di oggi, di una conoscenza completa e fedele del pensiero agostiniano attraverso la lettura integrale delle numerosissime opere del Vescovo d’Ippona, il padre Trapè concepì l’idea ardita della pubblicazione dell’Opera Omnia di sant’Agostino in edizione bilingue latino-italiana, con l’intenzione di colmare la grave lacuna della cultura italiana, che non aveva mai provveduto, in forma organica e scientifica, alla pubblicazione di tutte le opere del grande Padre della Chiesa, mantenendo così una conoscenza frammentaria, incompleta e spesso distorta del suo genuino pensiero.

Padre Trapè, pur valutando i rischi di così vasta impresa, mai prima da altri tentata per l’impegno e le difficoltà che comportava, con il suo entusiasmo, la sua dottrina, la sua capacità organizzativa, il suo amore verso il grande Maestro, seppe osare l’inosabile, seppe realizzare quel suo vasto disegno che ai più sembrava un’utopica illusione.

 

Egli stesso così racconta, parlando a Milano nel 1985:

Con estrema semplicità vi dirò ch’è nata dalla fervida fantasia di un giovane negli anni ’40, prese i contorni precisi negli anni ’50 e uscì dalla clandestinità nel Congresso agostiniano di filosofia del ’54, per la cui organizzazione quel professore fu aiutato da un religioso, il padre Augusto Cavaliere, che lo mise in contatto col Prof. Sciacca; cominciò a concretizzarsi negli anni ’60 con la collaborazione generosa della Città Nuova Editrice, la quale ne intuì l’importanza e non si spaventò per la mole; è continuata negli anni ’70, continua in questi anni ’80 e spera di terminare il suo cammino prima che lo termini il secolo. A quelli che hanno fretta non posso che raccomandare pazienza. La lentezza non è indice di negligenza negli organizzatori, ma è indice della mole dell’opera: 40 grossi volumi, per complessive 50-55 mila pagine, non si preparano né si mettono in atto dalla mattina alla sera. Quanto ai criteri, diciamo semplicemente che non si è tentato una nuova edizione critica, perché impossibile e in gran parte inutile. Non si è voluto, cioè, affrontare il rischio o di cominciare senza nessuna prospettiva di finire o di far passare per edizione critica la copia più o meno corretta o scorretta - capita anche questo - di una edizione precedente. Ma non voglio parlarvi qui dei criteri redazionali dell’edizione bilingue, ma piuttosto delle ragioni che indussero a prendere una tale iniziativa. Possiamo ridurle a tre e chiamarle così: domestica, ecclesiale, culturale.

Chiamo domestica la ragione che riguarda l’Ordine Agostiniano, il quale ha creduto corrispondente alla sua tradizione culturale, e quindi al suo dovere, mettere le opere di Agostino a disposizione di tutti, anche di quelli che non hanno facile accesso ai grossi volumi del Migne o trovano ormai ostico il latino.

La seconda ragione ha un respiro più ampio, perché riguarda tutta la Chiesa, la quale ha sempre considerato Agostino un grande maestro. Da Celestino I, che un anno dopo la morte del Santo, nonostante le invettive che gli lanciavano contro i monaci provenzali, lo annovera tra i sommi maestri della Chiesa, fino agli ultimi Pontefici (Leone XIII, Pio IX, Paolo VI e Giovanni Paolo II) l’ammirazione non è venuta mai meno. Alla voce dei Pontefici fa eco quella dei Concili. Si sa quanto Agostino sia stato presente negli ultimi: Tridentino, Vaticano I e Vaticano II. Soprattutto Vaticano II. Dico soprattutto, perché l’ultimo Concilio lo ha citato più di ogni altro Padre o Dottore della Chiesa, ben 50 volte dicono quelli che le hanno contate. Specialmente le due grandi costituzioni sulla Chiesa, la Lumen Gentium e la Gaudium et spes, portano tracce evidenti del suo pensiero. Questa insistenza del Concilio nel riferirsi al vescovo d’Ippona confermò il proposito, in chi lo aveva già formulato, di offrire alla Chiesa d’Italia tutte le opere di questo straordinario scrittore. Si ritenne che fosse un utile servizio al pensiero cristiano, in particolare alla teologia, la quale ha sempre bisogno di tornare alle fonti e di sapere come in altri tempi sono stati studiati e risolti determinati problemi della fede e come la fede ci è stata trasmessa.

Ma questa ragione, per quanto ampia, è pur sempre circoscritta. Ve n’è invece un’altra, che spazia in orizzonti più vasti e raggiunge tutti gli uomini pensosi di sé e della storia umana: la ragione culturale. Agostino appartiene alla cultura occidentale, sulla quale ha esercitato un influsso profondo e continuo: i due aggettivi non sono scelti a caso. Non sono io a dirlo. Scrive lo Jaspers: « Agostino è la figura più originale del pensiero cristiano e l’influenza esercitata sul pensiero occidentale è la più vasta di tutte » (I grandi filosofi, p. 324). Chi pertanto volesse comprendere questa cultura non può prescindere dalla componente agostiniana, come pure chi volesse stabilire un confronto tra la nostra cultura occidentale e quella di altre civiltà, orientale p. e., troverà sempre utile rivolgersi a lui. Per questa ragione qualcuno, non senza fondamento, ha proposto di chiamarlo il Padre comune dell’Occidente.

In realtà Agostino è il grande pensatore che ha costruito sintesi grandiose e profonde sulle quali, poi, come su binari sicuri, si è mossa la cultura occidentale. Ricordo alcune coppie di termini, apparentemente opposti ma necessariamente uniti, che servono a costruire quelle grandi sintesi: Ragione e fede, Dio e l’uomo, Cristo e la Chiesa, libertà e grazia, verità e amore, amore privato e amore sociale. Sono questi binomi i grandi binari su cui si è mossa la cultura occidentale. È utile tornare alle fonti e vedere come li ha impostati e risolti una grande mente che si sentiva la vocazione del pensatore ma che accettò per obbedienza il compito di pastore, e pastore per di più di una piccola diocesi africana.

Ma Agostino, pur presente in molti rivoli, si trova nella sua interezza nella fonte, cioè nei suoi scritti. Egli può aiutarci, meglio di ogni altro, a risolvere i nostri problemi, che sono molti e gravi, ma non sono più gravi né più numerosi di quelli che tormentò l’epoca sua, un’epoca di profonde trasformazioni e di difficili passaggi da un mondo a un altro. Ecco perché abbiamo voluto mettere a disposizione di tutti, prescindendo dalle loro convinzioni e dalla loro fede religiosa, le opere agostiniane.

 

 

Giambattista Dadda: Il Padre Trapè e l’editrice Città Nuova

 

Quello che io dirò sarà solo un aspetto della personalità di padre Trapè, aspetto che poi dovrà essere necessariamente completato con quello che lui ha operato, oltre che nel campo degli studi e dell’editoria, nell’insegnamento e nel campo della Chiesa e nell’ambito dell’Ordine con varie responsabilità.

Devo dire che ci sono incontri nella vita che non si dimenticano, incontri che lasciano delle tracce, incontri che restano indelebili. Per me, ciò è avvenuto incontrando la persona di padre Trapè.Ho avuto la fortuna di conoscerlo sia come docente di filosofia alla Università del Laterano, dove ho potuto constatare il fascino che esercitava sui giovani, per l’entusiasmo coinvolgente con cui esponeva la materia di studio, per il respiro culturale che aveva, per l’appassionato amore alla verità, la fedeltà profonda all’insegnamento della Chiesa. Ho un bellissimo ricordo di quel periodo.

Poi ho avuto modo di conoscerlo, di continuare il rapporto con lui per motivi editoriali dall'inizio del 1965 fino alla sua partita per il cielo, cioè il 14 giugno 1987.

Ogni incontro lasciava nell'anima la gioia di essere nato nella Chiesa, di vivere per la Chiesa e di operare nella Chiesa. Chiesa come un porto sicuro, protetta da baluardi di verità che difendono dalle tempeste, che possono vanificare la vita, e anche porto sicuro che fornisce gli strumenti adatti per una navigazione senza insidie.

Ci sono stati poi altri incontri, e sono stati tanti, nei vari uffici: a Monteverde, a Santa Monica, a Sant'Anna. Generalmente, sceglievamo la domenica o il sabato pomeriggio, al riparo dei telefoni. Furono incontri per me indimenticabili, soprattutto quelli del post-Concilio: c'era tutto il fermento, il disagio, la discussione, il disorientamento che si verificò un po' nella Chiesa, negli Ordini religiosi, nella vita religiosa. Iniziava il '68, iniziava la contestazione. In questi incontri non potevo che constatare il nitore della sua anima sacerdotale, dove coesistevano, in raro equilibrio, la profondità della vita interiore, la vivacità e l'acutezza dell'intellettuale di rango, la sensibilità alle problematiche che si soffrono al di là delle mura del convento. In lui si avvertiva sopra ogni cosa lo studioso competente e appassionato di sant'Agostino, anche perché, per tutti i problemi che si vivevano nella Chiesa e nella società, lui aveva un riferimento agostiniano che era una risposta; con una memoria prodigiosa riusciva immediatamente a fare la citazione in latino e in italiano.

Aveva iniziato a studiare Agostino da giovane religioso, l'hafatto conoscere ed amare a generazioni di studenti fin dal '39,quando a soli 24 anni ha iniziato ad insegnare presso il Collegio internazionale di Santa Monica, divenendo presto e restando per 15 anni reggente degli studi. Continuò poi l'insegnamento presso l'Università Lateranense, Gregoriana, l'Istituto patristico agostiniano da lui stesso fondato nel '70. Fu anche preside per molti anni della diocesi di Roma per i corsi di teologia per laici.

Il grosso spessore scientifico che caratterizzò la sua attività di studioso e di docente non poteva che sfociare in una feconda attività di scrittore: volumi, studi, articoli di risonanza internazionale.

A questo punto si può dire qualcosa sui rapporto tra padre Trapè e l'editoria italiana ed internazionale. Iniziò questo rapporto con la pubblicazione della sua tesi nel '42, seguirono collaborazioni con varie riviste specializzate di teologia e di patristica. Diresse in seguito una collana spirituale presso l'editrice Ancora. Collaborò con l'editrice Esperienze di Fossano, editrice fondata dal suo amico personale, l'allora mons. Pellegrino, che aveva la cattedra di Letteratura cristiana antica presso l'Università di Torino. Presso questa editrice pubblicò la biografia di sant'Agostino, biografia che è tutt'ora continuamente ristampata e tradotta in varie lingue.

Nei primi anni '60 curò la voce su Agostino che è apparsa nel primo volume della Bibliotheca Sanctorum: è una voce monumentale, certamente è la più ampia: occupa circa 70 colonne e questa stessa voce, trasformata in un volumetto, è stata per anni il libro di testo dei corsi che lui faceva come introduzione al pensiero di Agostino. Suggerirei, per chi volesse iniziare la lettura delle opere di Agostino, dicominciare da questa voce che lui ha fatto: è una preparazione magistrale all'approccio con Agostino.

Nel '54, in occasione del congresso di filosofia agostiniana che radunò un folto gruppo di studiosi e nel quale padre Trapè non fu certo spettatore, nacque la Cattedra Agostiniana e laNuova Biblioteca Agostiniana con l'intento di pubblicare l'Opera Omnia di sant'Agostino nell'edizione latino‑italiana.

Questo intento rimase tale per 10 anni. Alla fine del 1964e all'inizio del 1965 ci furono i primi contatti fra Trapè e i responsabili dell'editrice Città Nuova di allora. A quel tempo Città Nuova era una giovane editrice, aveva cinque anni, nata nell'ambito di un movimento ecclesiale che sottolineava, come sottolinea tutt'ora, la centralità dell'amore come atteggiamento interiore del cristiano e come elemento vivificante dei rapporti interpersonali. Sottolineava l'aspetto comunitario della vita, l'aspetto trinitario, l'importanza dell'unità nella carità, il testamento di Gesù, il riferimento al Vangelo come a codice di vita.

Nell'ambito di tale movimento venne spontaneo il bisogno di attingere alle realtà delle prime comunità cristiane, vedere come vivevano e conoscere coloro che di queste comunità erano stati l'anima e la guida, cioè i Padri della Chiesa.

Verso questa direzione diede un impulso significativo anche uno studioso, Igino Giordani, il quale aveva avuto un importante e felice incontro con i Padri della Chiesa durante il suo lavoro presso la Biblioteca Vaticana.

Di lui stampammo un'opera di Tertulliano ed un'opera di Giustino. Poi seguì l'epistolario di san Girolamo ed una traduzione di un'opera di Cipriano. Notevole successo ebbe una serie di commenti ai Vangeli fatti dai Padri; fra questi il commento a Giovanni di sant'Agostino.

La particolare consonanza che si avvertiva con il pensiero e la spiritualità agostiniana fece nascere l'idea di pubblicare altre opere di Agostino, ma non si sapeva quali e con chi. Fu proprio in quell'epoca che abbiamo saputo, attraverso una libreriache padre Trapè aveva il progetto di fare l'Opera Omnia di sant'Agostino. Ci si incontrò più volte, si mise a punto il progetto, si firmò nella primavera del 1965 il primo contratto e si diede inizio all'Opera Omnia.

Padre Trapè aveva l'ansia di far conoscere sant'Agostino a tutti e bene, non solo agli specialisti, e far leggere Agostino in modo completo e non frammentario, cosa che aveva favorito inesatte interpretazioni del suo pensiero.

Il progetto dell'Opera Omnia di sant'Agostino rappresentava anche un fatto culturale di grande rilievo per l'Italia. L'entusiasmo c'era, i fondi necessari pochi. L'editrice non aveva fondi, aveva una struttura editoriale e commerciale. Si fece un atto di fede convinti che la bontà dell'iniziativa avrebbe certamente sollecitato la Provvidenza a far sì che l'iniziativa decollasse bene e trovasse uno spazio commerciale adeguato.

Si decise di suddividere le spese, il 50% la Nuova Biblioteca Agostiniana e il 50% l'editrice Città Nuova, e altrettanto si stabilì per i ricavi, i quali naturalmente sono serviti per investire continuamente nei volumi che dovevano uscire. I primi anni furono duri sia per la NBA che per Città Nuova proprio per questo aspetto. Ci si aiutò però in tutti i modi e devo dire che il rapporto che c'è stato in questi anni, in questi 22 anni con padre Trapè, ma anche poi con tutti i suoi collaboratori, è stato ottimo. C'è stata sempre una collaborazione molto, molto bella. Le difficoltà c'erano solo per essere superate, non per frenare, e direi che questa unità nell'azione è stata determinante per portare avanti l'Opera Omnia.

L'iniziativa destò scalpore allora. Ricordo che abbiamo fatto un primo dépliant, quando uscirono le Confessioni, con il programma dell'Opera Omnia. Ci furono molti plausi e avvertimmo anche un discreto scetticismo; l'opera incominciava con un progetto di circa 38-40 volumi, 28.000 pagine.

Appena uscito il volume delle Confessioni nel 1965 padre Trapè fu eletto padre priore generale dell'Ordine, cosa che temevo, perché questo avrebbe comportato un rallentamento dell'opera, e glielo dissi prima che andasse alle elezioni. Rispose: «Non si preoccupi, non c'è pericolo», e invece fu eletto. Andai dopo e dissi: «Ha visto, padre, che gioco la Provvidenza ci ha fatto?». Disse: «Non si preoccupi, sarà meglio così». In effetti è stato di aiuto anche quel fatto che fosse stato per un certo periodo padre generale. Contemporaneamente, credo qualche settimana dopo, uno dei collaboratori che sembrava dei più stretti, mons. Pellegrino, fu nominato arcivescovo di Torino, cosa anche questa che si temeva e si realizzò.

Fortunatamente questi fatti non rallentarono il lavoro. Nel frattempo l'editrice Città Nuova ebbe a disposizione una rete di oltre 20 rappresentanti, che, al di là della vendita in libreria, iniziarono a visitare biblioteche, istituti religiosi, parrocchie, studiosi, professori, a tappeto, in tutta Italia. Questo fatto fu determinante per la realizzazione dell'Opera Omnia.

Praticamente la presentazione delle opere di sant'Agostino non poteva più essere una cosa riservata ad alcuni. Incominciava con gli anni a diventare qualcosa di molto capillare. Questo ha fatto sì che la vendita dei primi volumi incominciasse a dare i primi frutti anche in senso economico.

Ricordo che la tiratura, cioè il numero di copie che si stampava per ogni volume era di 3.700 copie, abbastanza elevata per volumi così impegnativi. Abbiamo visto che nei primi anni per alcuni volumi si presentò il problema della riedizione: cosa che ci mise in crisi sotto l'aspetto finanziario, perché oltre a sostenere le spese dei volumi nuovi, anno per anno, bisognava sostenere anche le spese delle ristampe di quelli vecchi.

Cosa positiva, iniziò nelle università l'adozione di vari testi soprattutto I dialoghi, nei corsi di Letteratura cristiana antica e di Storia del cristianesimo. Ricordo particolarmente a Roma; Milano, Padova, Bologna, Napoli, Bari, Palermo, Genova, Macerata; adozioni sicure di cui siamo a conoscenza.

Dopo i primi 12-13 volumi pubblicati si notò con sollievo che i ricavi delle vendite incominciarono a compensare i costi di stampa dei volumi nuovi. Si faceva, ogni sei mesi, il resocon to delle situazioni e si vedeva un po' quello che era il programma per i sei mesi o per l'anno successivo.

Vorrei dirvi qualcosa su quello che succedeva quando usciva un volume. Ogni volta, naturalmente, ci si incontrava subito. Io andavo nello studio di padre Trapè col volume nuovo. Lo prendeva in mano, lo accarezzava, lo guardava, lo girava, lo sfogliava, leggeva qualcosa, poi lo richiudeva, lo accarezzava di nuovo... C'era nei suoi occhi una gioia indicibile come per un nuovo figlio nato. E diceva: «Sarà contento sant'Agostino, è un bel servizio alla Chiesa, alla cultura. Dobbiamo andare in fretta». Gli rispondevo più volte: «Però lei deve promettermi che non accetterà più inviti a predicare gli esercizi». Diceva: «Ma perché?». «Perché lei predica troppi esercizi e porta via tempo alle opere di Agostino». Domanda: «Anche se fossero a dei vescovi?». «Anche se fossero a dei vescovi! Altrimenti, come laico le do l'obbedienza di non farli». Erano tutte battute, naturalmente. E diceva: «Bene, bene, vorrà dire che prima chiederò la sua autorizzazione».

In realtà egli era molto richiesto, oltre che nell'insegnamento, anche nel fare corsi di esercizi e proprio a molti vescovi. «Se lei non fa gli esercizi, ha più tempo e forze per portare avanti sempre di più l'opera».

Ora lui è arrivato! Non ha visto la conclusione dell'opera e questo per noi che eravamo vicini è stato un grande dolore. La vedrà dal cielo, perché quello che lui non ha visto qui deve vederlo lassù, nel senso che non è cessato l'impegno nostro di portarla a termine. Ha lasciato talmente tanto materiale già fatto, tante introduzioni già abbozzate, che chi dovrà compilarle ha già una traccia, una linea di quello che lui voleva dire sulle opere che rimanevano da pubblicare.

Nacque un'altra iniziativa. Ricordo che lui veniva spesso a parlare al nostro gruppo di rappresentanti che ogni sei mesi si incontrano, spiegando loro le opere che stavano uscendo. Fu parlando in queste occasioni che si sollecitavano a lui dei volumetti monografici, che trattassero un argomento oppure un'opera piccola di sant'Agostino. In realtà era un progetto che aveva anche lui, cioè rendere ancora più a portata di mano leopere di Agostino in modo poco costoso. Nacque proprio per questo l'edizione economica senza il latino, con note ed introduzioni sobrie, di buon livello: la Piccola Biblioteca Agostiniana. Sono già usciti diversi volumi e anche questi hanno trovato un'ottima accoglienza di pubblico.

Successivamente una terza collana fu quella degli Studi Agostiniani, collana che raccoglie in agili monografie argomenti di rilevante attualità sul pensiero di Agostino, alla luce dei suoi scritti e nella prospettiva della tradizione, e con il contributo degli studiosi agostiniani più autorevoli.

Solo un accenno sulla diffusione. Dell'opera grande c'è una diffusione di oltre 5.000 copie; della piccola oltre 3.000 copie; di quella di Studi Agostiniani 1.000 copie.

C'è qualcuno che parla del costo di questa opera grande, cioè lamenta il fatto che sia costosa. Io direi che allora già con padre Trapè si era visto come contenere al massimo i costi. In realtà, se si pensa al costo dei volumi in carta india, con testo latino a fronte, con impaginazione speciale e con annotazioni anche ai lati della pagina, rilegatura in tela, direi che è veramente mantenuta a costi bassi. Eguaglia altre opere in commercio che non sono rilegate, né in carta india, né con illustrazioni.

Comunque adesso, noi dobbiamo continuare. Pensando a padre Trapè mi sono ricordato una frase di uno scrittore, il quale diceva che per lavorare nel mondo dell'editoria ci vogliono passione, fantasia, diligenza, sensibilità al mercato. Io credo che padre Trapè le abbia avute queste qualità; comunque le abbiamo avute assieme perché lui ne aveva alcune, e aveva cercato di dare apporto per altre.

L'impresa dell'edizione dell'Opera Omnia di sant'Agostino, che adesso noi ci sentiamo in obbligo, ancora più di prima, di continuare, di portare a termine, direi che è un po' il monumento intellettuale, culturale, spirituale che ci ha lasciato padreTrapè, qualcosa che parlerà a tante generazioni per molti decenni che verranno.

Ancora un altro merito di padre Trapè. La sua attività di studioso di sant'Agostino e il rapporto con il mondo dell'editoria ha contribuito moltissimo a risvegliare, in Italia, l'interesse per i Padri della Chiesa. Interesse che ha caratterizzato gli anni del post-Concilio.

Va detto che nella nostra editrice la pubblicazione di Agostino ha fatto da battistrada alle opere di Ambrogio, alle opere di Bernardo di Chiaravalle, alle opere di Rosmini e poi, indirettamente, ha avviato tutta la collana di testi patristici curata dal prof. Quacquarelli, ottimo amico e collaboratore di padre Trapè: quindi diciamo che il nostro contributo per il risveglio della patristica in Italia è stato dato.

 

 

Giovanni Battista Dadda: Padre Agostino Trapè (ventesimo anniversario della morte, 13/9/2007 - Tolentino)

 

Il mio intervento vuol essere una testimonianza sulla figura, sulla persona di padre Agostino Trapè, basata su una conoscenza diretta durata 22 anni, motivata da una collaborazione per realizzare l’edizione italiana dell’Opera Omnia di Sant’Agostino. Proprio pensando a lui, mi si conferma la convinzione che il senso, lo spessore, la ricchezza del nostro cammino esistenziale sia segnato da un lato dal personale rapporto con Dio e dall’altro dalle relazioni significative che riusciamo a stabilire con le persone che incrociano il nostro tragitto di vita. È una convinzione radicata che ogni individuo che ci sfiora, che ci passa accanto, non avviene “per caso”. Nel piano della Provvidenza è un’opportunità unica - data la brevità del nostro vivere ed il numero limitato di incontri - per “esser un dono” e per ricevere “un dono”.

L’incontro con padre Agostino Trapè è stato un fatto che ha avuto un grande significato nella mia vita e che anche ora, dopo venti anni dalla sua scomparsa, avverto come un dono grande, con una preziosa e viva eredità.

I primi incontri con lui risalgono ai primi mesi del 1965; c’erano da stabilire le modalità che, sintetizzate in un contratto di coedizione, avrebbero regolato l’accordo tra la Nuova Biblioteca Agostiniana e l’Editrice Città Nuova per iniziare l’edizione bilingue di tutte le Opera di Sant’Agostino.

Si trattava di una iniziativa editoriale molto impegnativa, tra le più grandi e significative nell’Italia del XX° secolo. Bisognava unire le forze di due soggetti che avevano sognato, separatamente, di realizzare un simile progetto.

Padre Trapè era considerato, allora, lo studioso più qualificato di sant’Agostino. Aveva iniziato a farlo conoscere e amare a generazioni di studenti già dal ‘39 presso il Collegio internazionale di Santa Monica; ne fece poi per anni oggetto di appassionate lezioni presso l’Università Lateranense, alla Università Gregoriana e, successivamente nell’Istituto Patristico Augustinianum da lui stesso fondato. Fu Preside, per molti anni dei Corsi di Teologia per Laici nella Diocesi di Roma. Ha vissuto in prima persona la realtà del Concilio Vaticano II°: prima come Perito conciliare, poi come Padre conciliare. Date le sue qualità di studioso e di docente non poteva che esprimersi anche in una feconda attività di scrittore: volumi, studi, articoli di risonanza internazionale. Aveva già maturato un buon rapporto con l’editoria. Tra l’altro in Italia aveva diretto una collana di spiritualità presso l’Editrice Àncora; aveva curato, nel 1960, per la Bibliotheca Sanctorum la voce su Agostino che occupa 167 colonne del primo volume dell’Enciclopedia. Un prezioso approccio alla figura ed al pensiero di Agostino.

Nel 1954, in occasione del Congresso di Filosofia Agostiniana che radunò una grande numero di studiosi provenenti da molti Paesi, padre Trapè contribuì in modo significativo alla nascita della “Cattedra Agostiniana” ed alla “Nuova Biblioteca Agostiniana che si prefiggeva un progetto ambizioso: pubblicare l’Opera Omnia di Agostino, con il testo latino e la traduzione italiana a fronte. Questo progetto rimase tale per circa 10 anni.

Nel frattempo dall’estate del 1959 moveva i primi passi una nuova casa editrice: “Città Nuova”, espressione editoriale del Movimento dei Focolari. Dal 1960 in poi ho potuto partecipare direttamente alla sua crescita ed alle sue molteplici realizzazioni. Con le sue pubblicazioni mirava a promuovere il rinnovamento della vita cristiana attraverso il confronto con il Vangelo vissuto ‑ non solo meditato ‑ e focalizzava la centralità della carità, dell’unità, della comunione. C’era l’impulso di Chiara Lubich, la concretezza di Don Foresi, l’apporto di Igino Giordani. L’esigenza di rivivere, nel XX° secolo, la freschezza evangelica delle prime comunità cristiane, fece nascere il desiderio di far conoscere le opere, oltre che la vita, di coloro che furono l’anima e la guida di tali comunità, cioè i Padri della Chiesa. Nel clima preparatorio del Concilio Vaticano II°, Città Nuova iniziò a pubblicare le traduzioni di alcune opere di Giustino, Tertulliano, Cipriano e Girolamo. Un successo insperato ebbero alcuni commenti ai Vangeli da parte di alcuni Padri. Tra questi spiccava il successo del Commento di Agostino al Vangelo ed alla Prima Lettera di Giovanni. Si fece strada tra noi l’idea di tradurre altre opere di Agostino, magari tutte, anche per la particolare consonanza avvertita con il suo pensiero e la sua spiritualità. Però quali opere... ed a chi affidarne la cura?

Attraverso il direttore di allora della Libreria Àncora di Roma venimmo a sapere che padre Trapè aveva il progetto di fare l’Opera Omnia di Agostino e stava cercando l’Editrice con cui realizzarla. Dopo alcuni incontri si arrivò ad un accordo scritto nella primavera del 1965, che vedeva impegnata da un lato l’NBA col compito della direzione scientifica letteraria (introduzioni, traduzioni, note, indici), dall’altro Città Nuova col compito di gestire tutte le altre fasi editoriali (stampa, lancio pubblicitario, commercializzazione e amministrazione). Si decise di sostenere l’impegno economico in parti uguali: costi e ricavi da suddividere al 50% per ciascuno dei due coeditori. Si iniziò con molto entusiasmo, con la certezza che la Provvidenza ci avrebbe accompagnato nell’affrontare tutte le difficoltà che un tale progetto comportava.

Ricordo l’ansia di padre Trapè di far conoscere tutto sant’Agostino, a tutti e bene; in modo completo e non frammentario, aspetto questo che aveva favorito in passato non esatte interpretazioni del pensiero agostiniano.

L’iniziativa destò scalpore. C’era chi incoraggiava e chi mostrava scetticismo. Tante erano le iniziative rimaste incompiute. Questa prevedeva circa 40 volumi, 28.000 pagine, anni di lavoro ed un grande impegno economico.

Appena uscito il primo volume, Le Confessioni, tradotte da Carlo Carena, padre Trapè fu eletto Priore Generale dell’Ordine. Mi aveva assicurato che non ci sarebbe stato questo “pericolo”. Poco tempo dopo uno dei collaboratori più stretti, Mons. Michele Pellegrino, fu nominato arcivescovo di Torino. Fui preso dallo sconforto.

Corsi da padre Trapè: “Padre, con queste nomine non ci saranno più il tempo e l’energia per seguire l’Opera Omnia...”. “No, vedrà, tutto andrà avanti, meglio di prima...” fu la risposta.

Così avvenne. Nel frattempo Città Nuova costituì una rete di vendita diretta, di circa 20 rappresentanti che, in aggiunta alle vendite in libreria, iniziarono a visitare capillarmente tutte le Biblioteche in Italia, laiche e religiose, Istituti universitari, parrocchie, centri culturali, professori e studiosi interessati. L’accoglienza dei volumi fu superiore alle attese. Di ogni volume si stampavano 3.700 copie. Tiratura elevata per volumi così impegnativi. Con padre Trapè o con i vari curatori si fecero molte presentazioni dell’Opera in tante città d’Italia. Tema costante: “L’attualità di sant’Agostino”. In alcune università si adottarono alcuni testi, specialmente I dialoghi.

Dopo i primi 12-13 volumi pubblicati si notò, con sollievo, che i ricavi delle vendite incominciavano a compensare i costi di stampa dei volumi da pubblicare successivamente. Come ho già accennato altre volte, quando usciva un nuovo volume e lo portavo a padre Trapè, si ripeteva una scena toccante. Lo prendeva in mano, lo guardava, accarezzava la copertina, sfogliava qualche pagina, lo chiudeva, lo accarezzava di nuovo... C’era nei suoi occhi e sul suo viso un gioioso stupore, un po’ come ha un padre per un nuovo figlio nato. “Sarà contento Sant’Agostino – diceva - è un bel servizio alla Chiesa, alla cultura. Dobbiamo andare avanti in fretta.” Questa fretta nasceva dal suo desiderio di vedere conclusa l’edizione. Non riuscì. Quando nel giugno del 1987 partì per il Cielo, l’Opera Omnia era realizzata per il 70% circa. Ora, a 20 anni dalla sua scomparsa sappiamo che è stata completata: 62 tomi, per un totale di 47.700 pagine. Molti volumi sono stati ristampati, 17. Le copie vendute sono circa 186.000.

Alla NBA si è aggiunta, con altri criteri editoriali e per un pubblico più vasto, la Piccola Biblioteca Agostiniana, che ora conta 44 titoli, con 126.800 copie vendute. Anche di questa collana, più titoli sono stati ristampati: 16.

L’eredità di padre Trapè è stata presa, con passione e intelligenza da padre Remo Piccolomini e la continuità delle pubblicazioni è stata garantita dall’impegno silenzioso, costante, competente, pieno di attenzione e di amore, di padre Franco Monteverde. Anche con loro, cui va la nostra viva gratitudine, è continuato uno stile di collaborazione unica. In oltre 40 anni di lavoro comune, le difficoltà non ci hanno mai diviso, anzi hanno cementato il rapporto che è diventato “amicizia”, gioia di operare assieme, fraternità.

 

Vorrei dire ora qualcosa che mi ha legato a padre Trapè dal ‘65 all’87. Anche dopo tanti anni, la sua figura di sacerdote intelligente e con il cuore grande, di religioso fedele alla Regola e per questo con grande libertà di spirito, di studioso che ha raggiunto la sapienza e che l’amore per essa trasmette, è in me viva. Ho sofferto molto quando ci ha lasciato. Perdevo un vero fratello maggiore, un testimone della fede, un maestro di vita.

Capitò soprattutto negli anni ‘70 ed inizio ‘80 di aver avuto con lui parecchie occasioni d’incontro. Aveva terminato il suo mandato di Generale dell’Ordine ed era più presente a Roma. Per fare il punto sull’andamento delle pubblicazioni, mi recavo spesso, la domenica pomeriggio, nel suo studio. Ricordo quello presso la Curia Generalizia, quello della Comunità agostiniana presso la chiesa di S. Anna, in Vaticano, poi quello presso la Comunità di S. Monica.

Era importante garantire una cadenza regolare all’uscita delle Opere, superando le difficoltà tipiche delle pubblicazioni impegnative in cui sono in gioco il rispetto dei tempi dei collaboratori, aspetti tecnici per la redazione, la stampa, il tempo più appropriato nell’anno per il lancio commerciale di un titolo. Chiedeva anche informazioni su persone conosciute che lavoravano a Città Nuova. Una volta volle visitare in Tipografia gli stampatori che poi invitò a cena presso il refettorio degli Agostiniani; volle servire le portate di persona a tutti in segno di riconoscenza per l’impegno profuso da ciascuno.

Partendo da un’Opera di Agostino - di cui spesso citava brani a memoria - si sconfinava in considerazioni che riguardavano la Chiesa di quegli anni, le difficoltà del post-concilio, il rinnovamento della vita religiosa (ritorno alla Regola ed all’ispirazione dei fondatori), la crisi delle vocazioni, la trasformazione in senso internazionale della Curia Romana, la figura ed il ruolo del laicato, le attese di chi era fuori dalla Chiesa, ecc. Spesso c’erano squarci di vita personale di cui ho trovato eco nel fascicolo: “Signore, insegnami...”.

La realtà della Chiesa era un argomento frequente. Ne parlava come chi la conosceva, l’amava e la sapeva far amare. Nelle considerazioni aveva uno sguardo ampio, proprio di chi conosceva la ricchezza dottrinale del suo magistero e la sua capacità di misericordia, le tante “incursioni” dello Spirito Santo che, nei secoli, attraverso il carisma di tanti santi ha saputo rinnovarla, rievangelizzandola, a beneficio suo e della società civile delle varie epoche.

Il Concilio Vaticano II° si era concluso da pochi anni. Un Concilio che aveva attinto più di ogni altro alle sorgenti dei Padri della Chiesa. Agostino in particolare, era il Padre più citato. Il nuovo volto della Chiesa suscitava attese e speranze. Emergevano soprattutto le formulazioni di due Costituzioni: la “Lumen gentium” e la “Gaudium et spes”. Ci si chiedeva come far conoscere, attuare, vivere il Concilio, cosa che comportava un cambiamento di mentalità, un modo nuovo di “sentirsi Chiesa”, di essere cristiani in una società in rapida trasformazione. Si notava, come fosse importante, essenziale, una vita spirituale più profonda ed una interiorità nuova per tutti, non solo per i laici, e come il Vangelo andasse riscoperto, meditato e vissuto. Non tutto andava nel senso desiderato. Tra le difficoltà del post-Concilio c’erano la diminuzione delle vocazioni alla vita religiosa ed al sacerdozio ed un dibattito teologico non sempre condivisibile, vedi quello portato dalla “teologia della liberazione”. Si avvertiva poi una forte tendenza a dare una lettura sociologica al fatto religioso, al Vangelo ed alla stessa figura di Gesù. Nel mondo laico la cultura dominante era quella marxista e la psicoanalisi catturava l’interesse di molti e influiva sul modo di vivere e pensare dei giovani.

Marx e Freud erano i “progetti laici” con le ricette sicure per liberare l’uomo dalle sue necessità materiali e quelle per guarire le ferite dell’anima. Si trattava di due prospettive ingannevoli per le quali bisognava fare qualcosa. Anche le Università Pontificie non erano esenti dalla loro influenza. Informavo padre Trapè di quanto cercavamo di fare, nel nostro piccolo, come editrice Città Nuova, con alcune collane dedicate.

La psicoanalisi, rispetto al marxismo era una realtà, in un certo senso, più pericolosa e subdola. Freud ha dato un contributo geniale alla psicologia, con la scoperta dell’inconscio. La psicoanalisi la intendeva però come una terapia psicologica, non come una scienza esatta. Questa terapia, se condotta con insufficienza critica, può produrre qualche beneficio, può essere un raffinato esercizio introspettivo, può causare seri danni nel comportamento morale. Ne hanno pagato le conseguenze varie vocazioni religiose e l’unità di tante famiglie.

Tutto ciò comportava un nuovo impegno da parte dei cattolici in campo culturale, un impegno nell’insegnamento e nella catechesi.

Padre Trapè vedeva nella esperienza personale di Agostino, nella sua dottrina, nella spiritualità, nella figura di Pastore, un esempio attualissimo per le necessità della Chiesa.

Ricordo come valorizzava l’impegno di Agostino a creare fraternità nella comunità monastica, prima a Tagaste poi ad Ippona, come formasse la comunità cristiana cui si rivolgeva sia per salvare la sana dottrina, sia perché l’amore fosse l’anima ed il distintivo dei fedeli e generasse la comunione. Ecco, la Chiesa-comunione è venuta in luce con particolare insistenza. Senza comunione, non c’è comunità, non c’è testimonianza credibile, e molti aspetti del cristianesimo rischiano di esser pratiche vuote.

Da parte mia esprimevo la piena condivisione sull’attualità della “proposta agostiniana” e lo mettevo al corrente della mia esperienza di vita in uno dei nuovi Movimenti ecclesiali nati nella Chiesa, quello dei Focolari, dove era sottolineata la scelta di Dio come ideale di vita, Dio come Amore, l’importanza di animare l’agire e i rapporti con la carità, fino ad arrivare alla reciprocità, l’amore che si fa ascolto e che prepara al dialogo e che crea la comunione e fa crescere la comunità. “Ma voi siete agostiniani...” mi ripeteva spesso.

Tante volte si concludeva l’incontro con la speranza, la preghiera che la realtà trinitaria diventasse modello di vita nella Chiesa, nelle nostre comunità religiose, nelle famiglie e si auspicava che il soffio dello Spirito illuminasse le menti e riscaldasse i cuori perché la Chiesa fosse sempre più comunità viva, accogliente, dialogante..., quindi testimonianza del prezioso messaggio che il mondo attende.

Si toccavano molti altri temi, allora scottanti: la realtà della famiglia, “piccola chiesa”, la legge del divorzio, come rimediare alla solitudine di tanti sacerdoti bisognosi di più fraternità con i confratelli, il clima di violenza che si respirava soprattutto tra i giovani...

Si concludeva spesso con una constatazione: dipende molto da noi cristiani: se tutti fossimo testimoni coerenti e gioiosi del dono ricevuto col battesimo e fossimo più docili al soffio dello Spirito, il mondo sarebbe diverso.

Questo colloquio con padre Trapè, in altra forma, è sempre continuato in questi 20 anni.

 

 

Marziano Rondina: Il Padre Agostino Trapè religioso agostiniano

 

A me spetta tratteggiare, ovviamente in forma molto riassuntiva come è possibile in breve tempo, l’aspetto agostiniano di padre Trapè: in particolare quello che lui è stato in forza della sua scelta vocazionale, quello che lui ha fatto in forza del prestigio derivato dalla sua testimonianza e competenza e finalmente l’opera di studio e di ricerca da lui lungamente condotta sugli scritti di Agostino per farne emergere la spiritualità monastica.

Faccio questo molto volentieri anche per sgravarmi solo in parte di un grande debito di riconoscenza verso chi ho conosciuto molto bene e verso chi mi ha seguito negli anni di studio fino al termine e verso chi mi ha offerto la sua amicizia e la sua fiducia specialmente negli ultimi anni della sua vita.

Il rinnovamento della Chiesa avvenuto ad opera del Concilio Ecumenico Vaticano II ha chiamato in causa particolarmente gli Ordini, gli Istituti e Congregazioni religiose che hanno recepito sia pure con diversità di ritmo le premesse teologiche contenute nel capitolo sesto della costituzione dommatica Lumen Gentium sulla Chiesa e le indicazioni di rinnovamento contenute nel decreto Perfectae caritatis.

Il Concilio propose ai religiosi un preciso movimento di riforma condotto dalla preoccupazione di un duplice orientamento: fedeltà al carisma delle origini e sensibilità alle attuali, genuine esigenze del mondo e della Chiesa. E venne così in auge il termine e il concetto di carisma. Tutti gli Ordini si mossero per testimoniare se stessi e per testimoniare all’esterno il proprio carisma.

Anche nell’Ordine agostiniano è avvenuto questo e il padre Trapè è stato la persona provvidenziale e decisiva in questo avvenimento. La sua preparazione culturale e spirituale, la sua esperienza ecclesiale ed agostiniana gli garantivano uno scontato prestigio. I tempi del Concilio coincisero con la sua piena maturità e con la sua migliore fecondità culturale. Egli ne visse l’avvenimento in prima persona nella responsabilità di un crescente impegno, prima come membro della Pontificia Commissione Teologica per la preparazione del Concilio, poi come perito conciliare, infine, ormai eletto Priore Generale degli Agostiniani, come padre conciliare. Egli intuì l’importanza dell’impegno che la Chiesa chiedeva agli Ordini religiosi e si mosse deciso, con le sue capacità, a garantire a tutto l’Ordine l’impronta della novità e della rifioritura, attraverso la riscoperta e l’interpretazione vissuta del proprio carisma.

Il padre Trapè molte volte, forse è più esatto dire in continuazione, è tornato a parlare e a scrivere sul carisma agostiniano. Basta ricordare le sue premure per le case di formazione, per le giovani generazioni dell’Ordine, per i monasteri di vita claustrale, gli oltre 15 anni di insegnamento specifico nella scuola teologica della casa di formazione in Roma per la Federazione dei Monasteri agostiniani d’Italia. I numerosi corsi di esercizi spirituali dettati in ogni parte d’Italia a vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, laici, giovani; le relazioni ai congressi di teologia, di spiritualità e di pastorale.

Ci sono però almeno tre pubblicazioni che vanno ritenute fondamentali nella precisazione del carisma agostiniano: prima, leggo il titolo, Il principio fondamentale della spiritualità agostiniana e la vita monastica in « Sanctus Augustinus vitae spiritualis magister »: sono gli atti della Settimana Internazionale di spiritualità tenuta a Roma nel 1956; il secondo testo è l’introduzione e il commento alla Regola agostiniana pubblicata a Milano nel 1971 e ripubblicata con vari aggiornamenti a Roma.

Nell’introduzione a questo testo vengono anche elencati e presentati tutti i testi agostiniani che illustrano il carisma religioso secondo sant’Agostino, le lettere, i sermoni e altre opere come De opere monachorum, De sancta virginitate, ecc.

Terzo testo, la lunga lettera inviata all’Ordine agostiniano prima del capitolo generale del 1971.

Questo ultimo testo in particolare ritengo che sia un documento e una testimonianza basilare per conoscere il carisma agostiniano. Egli ne dà prima di tutto la definizione: Intendiamo qui per carisma quel cumulo di esperienze interiori e quindi di insegnamenti ed esempi che ci viene dal santo padre Agostino e dai nostri maggiori. Questo carisma costituisce l’eredità spirituale della nostra famiglia. Precisando poi ulteriormente, aggiunge. A proposito del vescovo di Ippona dobbiamo parlare non di carisma, ma di carismi. Cioè il carisma religioso, l’aspetto spirituale-ascetico; il carisma teologico, l’aspetto culturale; il carisma pastorale, l’aspetto del servizio. E scendendo al dettaglio: Il carisma religioso si precisa meglio nel suo triplice primato: primato della vita consacrata, della vita comune, della vita interiore per creare equilibrio tra vita consacrata e vita cristiana, tra vita comune e perfezione individuale, tra vita interiore e vita apostolica.

Il carisma teologico poi risponde a queste esigenze, e padre Trapè le elenca così: Il desiderio, come è avvenuto in Agostino, di conoscere e contemplare il contenuto della fede; l’adesione umile e sincera al magistero di Cristo espresso attraverso la Scrittura, la Tradizione e la Chiesa; il senso appunto del mistero che comporta la coscienza dei limiti dell’umana ragione e la certezza della trascendenza divina. Infine l’unione costante tra la teologia e la vita, cioè tra il modo di pensare e il modo di vivere.

E per quanto riguarda il carisma pastorale padre Trapè mette in risalto che Agostino amò la Chiesa e mise in risalto tutto se stesso, stabilendo un perfetto equilibrio tra azione e contemplazione, tra preghiera ed operosità apostolica o per dirla con la famosa espressione della Città di Dio 19, 19, « tra la caritas veritatis e la necessitas caritatis ».

Padre Trapè è vissuto nella stabile e gioiosa convinzione della sua vocazione agostiniana. L’aver assunto, al momento della professione religiosa, il nome di Agostino, non significò per lui soltanto rendersi cosciente della trasformazione personale esigita dalla consacrazione religiosa, ma l’inizio di un rapporto veramente profondo ed affettuoso con il grande genio della cultura cristiana in una tale serietà di studio, che ha creato una piena osmosi, per cui da oltre 50 anni il nome di sant’Agostino e il nome di padre Trapè sono avvertiti da tutti come un inseparabile binomio.

Padre Trapè giovanissimo, fin dalla formazione dei primi anni avvenuta a Tolentino e nell’ambito della provincia agostiniana picena aveva intuito la gigantesca personalità di sant’Agostino e il grande valore della sua spiritualità, per cui negli anni della formazione nel professorio, cioè gli anni che vanno dal noviziato all’ordinazione sacerdotale, esperimentò con entusiasmo la vita agostiniana e parimenti si buttò con impegno e generosità nella lettura e nello studio delle opere di sant’Agostino, acquistando con il tempo una padronanza, una competenza e una memorizzazione veramente sorprendenti.

Uno studioso marchigiano molto vicino agli agostiniani, amico, estimatore sincero di padre Trapè, alla notizia della sua morte mi esprimeva la sua ammirazione dicendo: « È stato un grande lavoratore ». Il padre Trapè è stato un instancabile lavoratore dello studio e della penna, giorno e notte. Non solo ormai maturo ed adulto come l’abbiamo conosciuto molti di noi, ma fin da giovane o meglio, bisognerà dire, fin da ragazzo.

Infatti fin dai primi contatti con sant’Agostino attinse dai suoi maestri, gli agostiniani della sua provincia religiosa, che sempre ricordava con commossa gratitudine, una grande passione per il Santo di Ippona e fu proprio nella sua prima giovinezza che egli, come più volte ci diceva, concepì quelle grandi idee e opere che poi il Signore gli concesse di realizzare nella sua feconda maturità e cioè la divulgazione della spiritualità monastica agostiniana attraverso lezioni e scritti, la pubblicazione bilingue dell’Opera Omnia, le pubblicazioni scientifiche sulla figura di sant’Agostino e finalmente l’Istituto patristico agostiniano.

E dietro tutti questi progetti e questo instancabile lavoro di studio, da uomo di fede e profonda religiosità qual era, ci fu sempre la preghiera. Nella piena lucidità della sua situazione di salute mi disse, in una visita che gli feci al Policlinico Gemelli di Roma nel corso dell’ultimo ricovero, parlando della Nuova Biblioteca Agostiniana: Per tanto tempo ho chiesto al Signore di poter iniziare quest’opera, e subito aggiungeva con un pizzico di quel signorile umorismo che mai gli mancava, ora chiedergli di condurla a termine mi sembra troppo.

Padre Trapè ha avuto una prolungata attività di professore, 50 anni. Nell’insegnamento ha avuto modo di trasmettere ad intere generazioni di agostiniani, di religiosi, di sacerdoti, di suore, di laici, di giovani, la sua esperienza agostiniana che era soprattutto esperienza di spiritualità.

Per i giovani si dedicava senza riserve. I giovani lo entusiasmavano e lui entusiasmava loro e aveva su di essi un’indicibile presa e essi lo ricambiavano con tenero affetto e profonda stima. Concludendo la prefazione alla regola agostiniana pubblicata a Milano con il suo commento nel 1971 e dedicata ai novizi e le novizie dell’Ordine faceva, come era solito, un caloroso appello ai giovani, con queste parole: « Meditate le parole di sant’Agostino una, due, tre volte, vi troverete riflesso l’animo del grande vescovo di Ippona che amò immensamente i giovani, che fu sempre buono e generoso con loro, che a loro volle soprattutto insegnare il segreto per conservare perennemente la giovinezza dello spirito. Vi ritroverete ciò che amate, ciò che sapete di amare e forse anche ciò che amate senza saperlo ». E nella nuova edizione fatta nel 1986 da Città Nuova, della precedente prefazione ha voluto ripetere queste parole.

L’attività di studio fu per padre Trapè immediatamente finalizzata alla scuola, la sua principale attività, iniziata a Tolentino con l’insegnamento della teologia e della filosofia. L’ho sentito tante volte narrare, con la gioia di un piacevole ricordo, questo suo esordio in un giorno di autunno del 1939: al mattino consegnò la sua tesi di laurea all’Università Gregoriana, alla sera prendeva il treno per Tolentino dove il Padre Generale, Carlo Pasquini, lo inviava per la sua prima esperienza di insegnamento. In seguito, passato a Roma e divenuto reggente degli studi per 15 anni nell’Istituto internazionale agostiniano di S. Monica orientò gli studi dei nostri giovani ad un carattere sempre più agostiniano.

Poi come assistente agostiniano per le provincie agostiniane d’Italia e di Malta, 1953-1959, promosse diverse iniziative, coordinando le varie forze per garantire e promuovere la fisionomia agostiniana nelle nostre provincie.

Eletto finalmente Priore Generale dell’Ordine dal 1965 al 1971, si sforzò in tutti i modi, data la sua competenza ed autorità, per rinverdire in tutto l’Ordine un volto segnato dalla cultura e dalla spiritualità di sant’Agostino. Nella prima lettera rivolta a tutto l’Ordine, presentando il suo programma, esprimeva tra l’altro la sua premura per la salvaguardia della vita contemplativa delle monache dell’Ordine da parte di chi considerava questo aspetto privilegiato, la preservazione, l’intensificazione, l’approfondimento dello studio proprio dell’Ordine secondo la mente di sant’Agostino e la tradizione dei nostri maggiori.

E quando nel 1968 tenne a Villanova, negli Stati Uniti d’America, il Capitolo generale speciale, ordinato dal Concilio Ecumenico Vaticano II per la rinnovazione delle Costituzioni dell’Ordine, guidò i lavori capitolari in modo da assicurare all’Ordine un’impronta decisamente agostiniana, come si può vedere chiaramente dai primi due capitoli delle Costituzioni, e come egli stesso precisò, nella stessa lettera di presentazione, richiamandosi alle parole che pronunciò nel discorso di chiusura del Capitolo speciale, dove disse: « Favoriamo la fraternità, amiamo l’unità, seguiamo l’agostinianità, coltiviamo l’interiorità », e poi, citando sant’Agostino, chiudeva et quidem non verbum nec lingua, sed opere et veritate.

Il merito di padre Trapè nella riscoperta e attualizzazione dello spirito e del carisma agostiniano è particolarmente evidente nella sua generosa e affettuosa opera nei confronti dei monasteri agostiniani in Italia. Nel 1970 il Papa Paolo VI raccomandava personalmente a padre Trapè di fare del tutto per salvare e far rifiorire il monastero dei Santi Quattro Incoronati a Roma, monastero al quale il Papa era particolarmente affezionato perché in esso era confluito un gruppo residuo di un monastero agostiniano, che proveniva dal colle Aventino e con il quale il giovane sacerdote Montini, quando studiava a Roma, aveva stretto rapporti di amicizia e di collaborazione. Il padre Trapè ottenne dal monastero agostiniano dell’Aquila la decisiva collaborazione con il « prestito » di tre giovani monache e poté avviare così, con le madri presidi Camillini prima e Macaione poi, la casa di formazione della federazione dei monasteri agostiniani d’Italia. Iniziativa voluta e particolarmente curata da padre Trapè, che così ha avuto la consolazione di vivere la nuova primavera di una decina di monasteri che in Italia stanno esprimendo in diversi modi la presenza significativa e apprezzata del carisma agostiniano.

In questa casa di formazione, frutto di tante lotte e sacrifici, egli con profetica lungimiranza indicava, attraverso un quadriennio di formazione teologica e spirituale, il punto di partenza e di riferimento per formare agostinianamente le nuove vocazioni e per arrivare e costituire dei centri di spiritualità attraverso i nostri monasteri. A questa casa dedicò lavori, pubblicazioni e tempo soprattutto; qui ha insegnato per 15 anni, seguendo le giovani una ad una, sostenendo le maestre, la Madre Preside e interessandosi fattivamente ai singoli monasteri.

Ho voluto ricordare per sommi capi un’attività, una testimonianza, un amore che padre Trapè ha espresso per l’intera vita, lasciandoci una grande responsabilità di continuare in questa linea per non mandar perduta tanta eredità spirituale e culturale. Questa commemorazione vuol essere un grato ricordo alla sua memoria, una commossa riconoscenza per il bene che ci ha fatto, e l’impegno da parte di ciascuno di noi a non deludere la sue attese.

Studiare la spiritualità agostiniana per noi vuol dire sicuramente oggi studiare il padre Trapè, perché di sant’Agostino egli ha avuto un’esperienza come nessun altro, e per mio conto sono arrivato a questa conclusione: per conoscere sant’Agostino si possono leggere anche altri autori, ma per conoscerlo ed amarlo si deve necessariamente leggere il padre Trapè.

 

 

Luigi Giuliani: Ricordando il mio compagno di studi ed amico Padre Trapè

 

La mia vita di compagno di studi del confratello padre Agostino Trapè abbraccia uno spazio di tempo dal 1926 al 1937.

Percorso iniziato nel seminario di Cartoceto, poi nel convento di Abbadia di Fiastra (Macerata), proseguì col noviziato e filosofia a Tolentino, infine nel Collegio Internazionale S. Monica con la frequenza all’Università Gregoriana.

Parlare dell’amico padre Agostino Trapè è come un viaggio nella memoria, come entrare nella stanza dei tanti ricordi e riviverli al tepore di una amicizia senza tempo.

Per comprendere l’uomo, Dante Trapè (tale era il suo nome di battesimo), bisogna andare alle sue origini, non tagliare le radici di autentico marchigiano, figlio della terra picena e di quella gente che viveva nella semplicità, nell’onestà, nel lavoro e in una autentica religiosità. All’amore della famiglia naturale unì, con coerenza e convinzione l’amore per la nuova famiglia dello spirito; e fu agostiniano tutto d’un pezzo.

Nel seminario di Cartoceto manifestò subito la sua lucida intelligenza, classificandosi quasi sempre primo in tutte le materie scolastiche.

Già da novizio recitava a memoria lunghi e famosi brani delle Confessioni, con tanto entusiasmo da coinvolgere anche noi compagni a seguirne l’esempio.

Portato dal desiderio di conoscere il pensiero del S. Dottore ebbe anche la possibilità (non davvero facile) di entrare in simpatia con il padre Nicola Concetti, a tutti noto per il suo carattere difficile e aspro (Concetti scrisse la vita di sant’Agostino in opposizione a quella scritta da Papini).

Si interessò con passione a comprendere i fondamenti di quell’architettura teologica agostiniana, patrimonio secolare del Vescovo d’Ippona, in cui trovò il motivo e l’ideale di tutta la sua vita di cristiano, di religioso e di studioso.

Non si potrà mai adeguatamente parlare del suo amore per sant’Agostino.

Con particolare gratitudine e nostalgia, ricordiamo il nostro confratello nel suo soggiorno estivo a Cascia, presso la sua cara Santa Rita, ospite graditissimo delle consorelle e confratelli. Allora Cascia si trasformava in una « Cassiciaco » di fervore agostiniano. Il padre Trapè era una fonte inesauribile della storia dell’Ordine, maestro insuperabile del pensiero agostiniano e della vita di sant’Agostino; a tavola e nelle conversazioni peripatetiche della sera lungo il viale del santuario erano vere istruzioni agostiniane alle quali partecipavano anche i sacerdoti, nostri amici e ospiti.

La famiglia ritiana lo ricorda direttore del bollettino per 14 anni (Aprile 1960 - Aprile 1974); promotore del movimento «Amici di sant’Agostino », che iniziò a Cascia nella Pasqua del 1966; ha scritto la « Vita di S. Rita e il suo messaggio » edito dalle Paoline, che ha già avuto diverse ristampe.

Il sottoscritto può dire che ama ricordare il padre Trapè, più che nei libri e nelle varie attività e tante pubblicazioni, come uomo e amico, nelle sue relazioni umane che gli conferivano un certo senso di nobiltà culturale, ricca di sensibilità e delicatezza e di umile signorilità che lo rendevano caro e disponibile a tutti.

Per alcuni il padre Trapè passava come « conservatore e tradizionalista ». Quando soli, lui e io, passeggiavamo lungo i tornanti della strada di Cascia e confidenzialmente riferivo simili giudizi, rispondeva ridendo che il suo tradizionalismo era ancorato alla tradizione della Chiesa, da rispettare e conservare.

Più che conservatore si considerava progressista, perché il pensiero di sant’Agostino è sempre attuale. E concludeva: «Dunque sono in buona compagnia ».

Ardeva dal desiderio di riportare l’Ordine all’origine della sua spiritualità e della sua cultura. Per il padre Trapè la storia dell’Ordine non doveva essere un vecchio album di una gloriosa famiglia che vive solo dei ricordi del passato. Nutriva il desiderio che la ricerca agostiniana divenisse storia attuale per l’uomo moderno tormentato dalla sua abissale inquietudine.

Parlare del padre Trapè, percorrere le tappe della sua vita è come camminare, in punta di piedi, fra le pagine di un grosso volume; la sua vita è un cammino lastricato non di pietre, ma di pagine scritte. Pagina dopo pagina si vede emergere sempre lo stesso uomo, ma sotto aspetti e angolazioni diverse che manifestano elementi, sfumature e doti che arricchiscono la persona sotto il profilo umano e religioso.

Vorrei aggiungere che il padre Trapè, soprattutto come religioso, ha percorso l’itinerario agostiniano prima di tutto nel suo mondo interiore, nella sua vita di figlio di sant’Agostino, vivendo quell’ideale come un « codice genetico » (mi si passi l’espressione) di tutta la sua esistenza. Da questo « cromosomo agostiniano » è stata permeata la sua varia e molteplice attività con tutte le felici realizzazioni, che sono semplici sprazzi di quella ricchezza che ha ereditato dal Vescovo di Ippona.

Le realizzazioni tanto benemerite alla Chiesa e all’Ordine, anche perché sofferte da parte sua, lo presentano come un « rivoluzionario pacifico ».

Tutto è stato possibile nella vita di quest’uomo di tanta elevatura morale e intellettuale.

Non poteva passare inosservato.

Può sembrare retorica la frase: con la morte del padre Trapè noi agostiniani d’Italia ci sentiamo un po’ orfani. Egli era presente in quasi tutti i convegni come nota dominante, come personaggio che dava prestigio al nome agostiniano, come voce autorevole che faceva il pieno e il tutto esaurito.

Fu carissimo ai pontefici, specialmente a Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Come unico compagno rimasto di quella classe numerosa, ho voluto rievocare il carissimo amico con questi ricordi e pensieri. Forse l’amicizia di 61 anni mi ha fatto velo, esprimendo giudizi in chiave di esagerata ammirazione: ne chiedo scusa.

Sono giudizi e affermazioni personali.

E rimangono tali.

L’ultima volta l’ho visto il 27 Marzo. Come al solito, passeggiammo lungo il corridoio, ma si stancò presto. Salutandomi, mi invitò a Roma per il suo 50° anno di sacerdozio, il 15 Luglio.

Un mese prima è entrato nella casa del Padre.

Come in pellegrinaggio, sono andato a Roma per i funerali: l’ho visto nella camera ardente del Collegio di S. Monica. Il seminarista di Cartoceto e Abbadia di Fiastra, il novizio e il filosofo di Tolentino, il professo del collegio Internazionale di S. Monica riposava ora in quella Aula Magna che l’aveva visto maestro ricercato e applaudito: quel santuario della cultura era ora una chiesa orante davanti alla bara.

 

 

Lucio Fabbroni: Il mio maestro ed amico Padre Trapè

 

Io non fui suo alunno a scuola, ma lo ebbi maestro nella vita e considero una delle più grandi grazie del Signore l’aver trascorso con lui due anni a S. Anna in Vaticano.

Quegli anni furono occasione per cementare un’amicizia di cui mi aveva fatto dono fin dal primo tempo del mio sacerdozio; ma furono occasione soprattutto per conoscerlo meglio: un uomo straordinariamente ricco di calore umano; un religioso esemplare, un lavoratore di tempra eccezionale.

Si concedeva un’ora di passeggio e io gli facevo compagnia. Ci si recava nei giardini del Vaticano o nei pressi di Castel S. Angelo. Per me era la più bella ora della giornata. Con il calore che gli era proprio passava in rassegna avvenimenti e personaggi dell’Ordine, dei quali dimostrava una conoscenza non comune.

Ma si parlava soprattutto di Agostino e della pubblicazione delle sue Opere. Mi diceva che detta pubblicazione fu una promessa fatta al padre Bellandi, mentre stava morendo. Per questo volle intitolarla « Nuova Biblioteca Agostiniana », in continuazione della « Biblioteca Agostiniana » del Bellandi.

Era orgoglioso quando parlava dell’altra sua realizzazione, l’Istituto Patristico Augustinianum. Accennava con rammarico alle difficoltà incontrate, difficoltà che cercò di superare con la sua ferrea volontà.

Nonostante i tanti lavori, trovava il tempo di ritornare alla lettura dei suoi amati Autori, Manzoni, Leopardi, Trilussa, Cardarelli: li teneva sul comodino, vicino al letto. Non poteva non essere presente Dante, che citava a memoria insieme agli altri, e non solo per qualche verso o frase.

Ora mi sento solo, mi sento povero, più povero.

Andare a Roma e non aver più un riferimento sicuro; avere un dubbio, il tormento di una perplessità e non sapere a chi sottoporli, è qualcosa che mi riesce difficile pensare.

Ma ora mi tormenta un’afflizione: l’essermi permesso con lui troppa confidenza e aver ecceduto nello scherzo, nel prenderlo un po’ in giro. Ma, com’ebbi a dirgli, una delle ultime volte che lo vidi, era tutto suggerito da un grande affetto. E di lassù mi saprà capire meglio e perdonarmi.

A te ho creduto confidare queste cose, a te, suo generoso e prezioso collaboratore. E per mezzo di te esprimo le più sentite condoglianze alla tua Provincia religiosa, che egli tanto amava, anche se apparteneva all’Ordine, che ha tanto elevato in prestigio; apparteneva alla Chiesa di cui è stato servo fedele (e di questi tempi è tutto dire).

Con le lacrime agli occhi...

 

 

Vico Stella: Padre Agostino Trapè

 

La sua non fu una vocazione agostiniana. Si scherzava da giovani col giovane Trapè. Arguto, gioviale, simpatico, ci potevamo permettere qualche battuta spiritosa.

« Lo sa - mi permisi - che con una bella barba su quel volto sarebbe un perfetto e amabile frate cappuccino? ». « Veramente - rispose - mio padre mi condusse al convento dei Padri Cappuccini del mio paese. Ma, ricordo, non ebbe buona accoglienza. Un po’ risentito, ripiegò verso il convento degli Agostiniani. « Meglio così - mi disse -: tra gli Agostiniani ti troverai meglio. Sono signorili, studiosi, intelligenti ». E così avvenne.

Una eventuale vocazione cappuccina fece fiasco.

E l’aspirante Dante Trapè volle chiamarsi Agostino nell’atto di emettere la Professione dei Voti religiosi, dopo aver compiuto l’anno di noviziato tra gli Agostiniani.

Ma, più che discepolo di altri maestri, a noi giovani il giovane Agostino Trapè appariva un nuovo maestro, in cui vedevamo concretizzarsi in modo eccellente e chiaroveggente, i nostri ideali, le nostre aspettative.

E ci si incontrava. Si parlava. Si discuteva. Si sognava... In piena sintonia. Senza alcuna soggezione.

Trapè era un vero amicone, pur dimostrandogli sempre il nostro rispetto, la nostra gioiosa ammirazione per la sua cultura, la sua intelligenza. Per quel che mi riguarda, nonostante la persistente amicizia, non sono riuscito mai a dargli del tu.

Altra dote che ce lo rendeva simpatico la sua disponibilità. Non diceva mai di no alle nostre richieste di predicazione, di conferenze, di catechesi. Tale, da sembrare di volere approfittare della sua bontà. Ma, no. Padre Trapè amava dare sapendo di poter dare.

Tradere, trasmettere, comunicare. Proprio come il suo e nostro grande Padre Agostino.

Una comunicativa attraente, una piacevole dialettica convincente. Ricordo le sue prime chiacchierate - così le definiva - negli anni 1942-43 ai giovani della Parrocchia S. Maria del Popolo. Ma veniva volentieri, e sempre sorridente, anche nelle nostre chiese di paese.

Chi più maestro di lui di spiritualità e cultura agostiniana?

 

Giovanotti! Il suo saluto gioviale, ottimista, incoraggiante.

Laureato col massimo dei voti alla Gregoriana, nel 1938, tornò a Tolentino, ad insegnare filosofia ai nostri studenti.

Temevamo venisse assorbito dall’insegnamento e si ingolfasse nei problemi ristretti della sua Provincia. Per fortuna non venne mai eletto Priore provinciale.

Anzi. Dopo due anni tornò a Roma, ove, oltre l’insegnamento della teologia, gli fu affidato il riordino dello Studium Internazionale del Collegio di S. Monica.

Si cominciava a sperare.

Qualcuno già pronosticava al giovane brillante professore anche una brillante carriera nella gerarchia dell’Ordine. Non tanto per riconoscimento dei suoi meriti, quanto perché ci si attendeva dalle sue attitudini, confortate da una certa libertà di azione, una più facile e sollecita attuazione dei comuni progetti, delle tanto discusse aspirazioni.

 

Abbiate pazienza.

Attenzione. Non fraintendiamo.

Sarebbe offendere la memoria della sua rettitudine, del suo disinteresse alla carriera.

Sì. Verrà eletto Assistente Generale nel 1953, e poi Superiore Generale nel 1965. Ma noi eravamo impazienti di vederlo all’opera, confidando nelle sue capacità intellettive e organizzative.

Già. Ci fu la guerra. I seminari vennero chiusi. Anche al Collegio Internazionale di S. Monica venne sospeso lo Studium. Veramente concorsero ragioni di ristrutturazione, di ingrandimento.

Con estrema semplicità, ma anche con impegno costante e metodico aveva deciso di assumersi l’eredità storica che gli si offriva, come il più qualificato, e da noi riconosciuto, di dar vita a quelle aspettative che il centenario del grande Padre Agostino aveva fatto sperare.

Nel mentre il nome del padre Agostino Trapè cominciava ad inserirsi negli ambienti qualificati della cultura e ad imporsi come l’agostiniano più esperto delle Opere del Santo.

Oltre che da noi, da vari centri accademici, da illustri professori, arrivavano sollecitazioni per una Edizione delle Opere di sant’Agostino, tradotte in italiano. Ma in lui, già da tempo, premeva l’ardito progetto: una Edizione bilingue, latino-italiano, ad alto livello. Ricordo. Parlava addirittura di istituire un Centro apposito, di acquistare un Villino, sull’esempio di quello della « Civiltà Cattolica » dei Padri Gesuiti, in cui riunire gli studiosi, i traduttori, la redazione. Il villino venne acquistato, in Via Fieschi. Ma... fece fiasco. La compagine agostiniana italiana non disponeva ancora di personale disponibile e qualificato, e aveva bisogno dell’apporto di studiosi di sant’Agostino laici o ecclesiastici non agostiniani. Tra questi segnaliamo subito il Card. Pellegrino e il prof. Sciacca. Stimolato da così insigni collaboratori, si decise ad invitare alcuni professori, da essi proposti, a tradurre qualche Opera. E fu proprio il sottoscritto incaricato di scrivere e richiedere saggi di traduzione ad alcuni di essi.

 

Mattone su mattone. Non parlo solo dell’opera culturale dell’Istituto Patristico: anche come edificio l’Istituto è stato da lui curato, come il Cupolone da Michelangelo, mattone su mattone. Dal Villino di Via Fieschi all’imponente Ateneo. Le nostre scommesse su questo agostiniano prendevano quota.

Oltre la passione per il suo Agostino, Trapè aveva una carica di simpatia per i Santi e i grandi personaggi dei secoli agostiniani, da Egidio Romano a Egidio da Viterbo, da Agostino Trionfo a Marsili Luigi, amico del Petrarca, dal Card. Seripando al Berti, prefetto della Biblioteca Angelica.

Permettetemi di riportare qui una mia cronaca del tempo:

« Il viaggio più breve Paolo VI l’ha compiuto il 4 maggio 1970. Pensate. Da Piazza S. Pietro a Via S. Uffizio, Largo Cavalleggeri. Due passi dai suoi appartamenti privati. E l’ha compiuto per recarsi presso la Curia Generalizia dei Padri Agostiniani, a inaugurare e benedire la sede del nuovo Istituto Patristico Augustinianum, sorto accanto al Collegio Internazionale di S. Monica.

I nostri passi - così il Papa - ci hanno condotto oggi in mezzo a voi, per un incontro che soddisfa non soltanto la vostra legittima aspirazione di accogliere quest’umile Vicario di Cristo per la inaugurazione del nuovo Istituto Patristico Augustinianum, ma adempie anche un nostro particolare desiderio di conoscere personalmente la sede dell’Istituto stesso, che giustamente riempie di letizia l’intera Famiglia dell’Ordine Agostiniano. L’Istituto infatti è stato voluto dal Rev.mo P. Generale, padre Agostino Trapè, e realizzato con la cooperazione di tutte le Provincie Agostiniane dell’Ordine. Esso vuole essere una testimonianza di fedeltà e di attaccamento alla dottrina e all’opera dei Santi Padri. Di coloro, cioè, che - come sant’Agostino, S. Ambrogio, S. Giovanni Crisostomo, ecc.- illustrarono e difesero il dogma cattolico, e, la maggior parte, zelantissimi pastori, lo predicarono e l’applicarono si bisogni delle anime. Pertanto ciò che a noi preme sottolineare è il fatto che questo Istituto risponde in pieno ai bisogni attuali della Chiesa. Il ritorno ai Padri della Chiesa fa parte di quella risalita alle origini cristiane, senza la quale non sarebbe possibile attuare il rinnovamento auspicato dal Concilio Vaticano II.

Il padre Trapè, nel suo indirizzo di devoto e filiale omaggio al Papa, aveva esaltato l’opera dei Santi Padri, e indicato lo scopo e le finalità del nuovo Istituto “ Siamo convinti che i Padri della Chiesa, quelli dell’Occidente e quelli, non meno grandi e più numerosi, d’Oriente, per la sicurezza della dottrina, per l’umiltà della ricerca, per la profondità della speculazione, per la forte personalità e lo splendore degli scritti, possono esercitare un grande benefico influsso sugli studi teologici di oggi e sulla formazione delle nuove generazioni. Non già che nel nostro Istituto si voglia proporre tutta la dottrina dei Padri, ma si vuole insegnare piuttosto la metodologia per studiarli; si vuole indurre i giovani ad avvicinarsi ad essi, a leggerne le opere, a conoscerne gli insegnamenti, a sentirne e a condividerne l’amore per Gesù Cristo e per la Chiesa”.

Alla solenne cerimonia erano presenti più di venti Eminentissimi Cardinali, numerosi Arcivescovi e Vescovi, Superiori Generali, Rettori degli Atenei Pontifici di Roma, tutti i Padri Provinciali dell’Ordine Agostiniano. La vasta, moderna aula dell’Auditorium del nuovo Istituto era gremitissima di professori, di alunni, di religiosi, di religiose. Un breve viaggio. Ma un lungo cammino, per risalire alle origini cristiane ad attingere purezza di dottrina, ardore di fede, splendore di santità. Perché - come rilevava il grande Bossuet - citato dal Papa nel suo discorso quei grandi uomini sono nutriti dello schietto frumento degli eletti, della pura sostanza della religione, sono saturi dello spirito primitivo che hanno attinto più direttamente e abbondantemente dalla stessa sorgente, e, ciò che emana con naturale freschezza dalla loro pienezza è più nutritivo di quello che è stato poi ripensato e meditato ».

Nell’ottobre del 1960 venne nominato Membro della Commissione teologica per la preparazione del Concilio Vaticano II.

Dal 1962 partecipò al Concilio come Perito, e nel 1965 come Superiore Generale degli Agostiniani.

Veniva catalogato tra i tradizionalisti, per la fedeltà incondizionata al depositumfidei. Faceva parte della Commissione teologica. E, come sappiamo, proprio in quegli anni la teologia subiva alcuni sbandamenti. Da vero figlio e cultore del suo Padre e Maestro, Agostino, egli si batté perché il prurito di novità non intaccasse il principio fondamentale della divina verità: semper antiqua et semper nova. Ci confidava anche la gioia di questo impegno Conciliare che lo equiparava, in certo modo, ai suoi grandi illustri confratelli: il Card. Egidio da Viterbo al Concilio Lateranense V e il Card. Seripando al Concilio Tridentino.

 

Essere convinti per essere convincenti.

Un altro dei suoi motti.

Ci serve per segnalare l’intensa attività della sua predicazione. Abbiamo già parlato della sua disponibilità. Molte e continue le richieste.

Sì. Per la sua disponibilità. Ma più ancora per la capacità di farsi ascoltare e riuscire a convincere.

Dalle prime chiacchierate ai giovani di S. Maria del Popolo, alle migliaia di giovani che poi lo hanno ascoltato e stimato.

Numerose le Conferenze e i Corsi di Esercizi Spirituali.

Altri corsi di Esercizi spirituali ai Vescovi li ha predicati a La Verna dal 20 al 24 luglio del 1967, a Milano, Bologna, Bari e altre città; ha dettato un quaresimale su invito del Pontefice a S. Maria Maggiore.

 

Scrive ad un amico:

Ho dovuto - dico dovuto - predicare gli Esercizi spirituali... al S. Uffizio, in aggiunta a tutto il resto; in ogni modo son contento che sant’Agostino sia entrato anche là.

 

...In quanto a me, come sai, ci si son messi di mezzo quelli del S. Uffizio: dopo gli esercizi mi hanno fatto trovare di fronte allo stelloncino de L’Osservatore Romano. Dicono: onore. Ma io penso al lavoro; e chi ci rimette son sempre io.

 

Altro merito del padre Trapè: le missioni all’estero.

Ad ognuno il suo carisma e i suoi talenti.

E abbiamo visto il carisma e gli eccellenti talenti del padre Trapè. Ma non quello missionario.

Certamente è stata una missione tutta la sua vita. Ma non ha mai espresso il desiderio o manifestato una vocazione missionaria. Tuttavia dobbiamo al Superiore Generale padre Trapè se l’Italia agostiniana oggi ha una Missione sulle Ande del Perù.

Divenuto Assistente Generale volle unificare la formazione dei giovani, fino ad allora affidata alle singole provincie.

Anche se poi volle chiamarsi Agostino, non dimenticò mai di essere « Dante ». E per coerenza, dal momento che possedeva una memoria eccellente, mandò a memoria parecchie terzine della « Divina Commedia », come pure più di qualche pagina dei « Promessi Sposi » e diversi sonetti del Trilussa.

Oh quante risate faceva a volte sulle battute del Don Abbondio, ricaricate dalle varie interpretazioni!

 

 

Alessandra Macajone: Padre Agostino Trapè: un Padre e un Maestro perché uomo della speranza

 

Può sembrare estremamente facile parlare di padre Trapè da parte di chi ha ricevuto tanto da lui e, per lunghi anni, ha con lui condiviso la passione agostiniana e collaborato.

Ma non lo è! E, comunque, sarà sempre un tentativo inadeguato.

Ma come può tacere la gratitudine?...

Primo obiettivo del padre Trapè dopo il Concilio, relativamente al nostro Ordine femminile a cui si dedicò con affettuosissima attenzione e con vero spirito profetico, fu avviare e consolidare la Casa di Formazione Comune delle Monache Agostiniane, che si inaugurò nell’anno 1972. Una Casa da lui auspicata, da lui voluta come unica possibilità di far nascere e incrementare un cammino di chiarificazione del carisma e di rivitalizzazione dell’Ordine femminile. La Casa di Formazione per tutte le claustrali agostiniane d’Italia fu desiderio congiunto suo e di Paolo VI, che voleva si salvasse il Monastero dei Ss. Quattro Coronati, che ne divenne la sede. Questo progetto, impensabile nel clima appena inaugurato dal post-Concilio, si realizzò felicemente. In questa Casa di Formazione piano piano si tornò alle sorgenti del carisma e si diede inizio al vero rinnovamento. Tantissime le monache giovani e meno giovani che vi sono passate. Nacque, per così dire, il Monachesimo Agostiniano del 2000 - certo gradatamente, sempre più chiaro di anno in anno.

Come fu possibile? Qualcuno ci definì le Monache del miracolo.

Noi abbiamo sempre attribuito tale miracolo al cuore vibrante e appassionato di padre Trapè.

Erano anche in cantiere le nuove Costituzioni, testo preziosissimo per un cammino concreto di novità, e il padre Trapè vi buttò dentro tutta la sua mente e il suo cuore, tutto l’amore per noi, Ordine femminile, che voleva riaccendere carismaticamente.

Da questo suo iniziale lavoro partì poi l’elaborazione lenta del testo attuale.

Ma d’immensa portata è stata la presenza di padre Trapè nei sedici anni di insegnamento che egli ha donato alla Casa di Formazione. Cuore, mente, dottrina, amore appassionato a sant’Agostino, tutto ha messo al servizio delle Monache con una disponibilità e umiltà senza limiti.

Ci faceva anzi capire che veniva da noi con entusiasmo maggiore perché eravamo aperte e attente, assetate di apprendere da lui l’anima stessa di Agostino. Ma era lui che ci accendeva e formava e ... trasformava.

Alla sua scuola siamo nate come agostiniane contemplative in una identità chiara e felice.

Padre Trapè aveva l’arte e il potere di farci essere quel che dovevamo, volevamo ed eravamo chiamate ad essere.

E così con lui siamo entrate in contatto diretto con i testi di Agostino, che dalle sue parole, dal suo insegnamento, prendevano vita e ... attualità. Agostino ci si faceva vicino, contemporaneo, PADRE e MAESTRO di vita piena, illuminata.

Le Biblioteche dei Monasteri cominciavano a contenere i volumi agostiniani e poi dell’Opera Omnia di Agostino e le Monache conobbero la gioia di chinarsi su pagine e pagine di dottrina spirituale e di alta sapienza. Preziosissimo alimento specialmente per il cammino della contemplazione e per l’illuminazione sapienziale dell’esistenza. Due poli che Agostino seppe congiungere in un meraviglioso, sapiente equilibrio.

Il padre Trapè ha saputo condurci per questa strada e aiutare a vivere l’identità agostiniana con rinnovata consapevolezza e gioia.

Ma il ricordo del padre Trapè è reso ancora più vivo per il dono della sua innata sensibilità, con la quale ci ha accompagnato fin dal primo giorno dell’apertura della Casa di Formazione.

E proprio di questo giorno ricordo un suo gesto squisito. Arrivavo a Roma da Cascia, dal Monastero di S. Rita, nuova di tutto, da una Comunità allora fiorente, al Monastero dei Ss. Quattro Coronati, per aprirvi la Casa di Formazione. La Comunità era molto anziana, tranne alcuni membri; molto chiusa. padre Trapè aveva chiesto aiuto al Monastero de L’Aquila che aveva ceduto tre Monache, una delle quali - la Madre Immacolata Bravi - come Madre Superiora.

Giunta al portone ancora chiuso trovo proprio il padre Trapè, venuto per condividere il primo delicato impatto perché temeva mi potessi scoraggiare. Volle che entrassi con lui e con il padre La Valle, allora Assistente Federale.

Ma non fu così solo il primo giorno. Padre Trapè aveva il dono, non comune, di cogliere tutte le opportunità per impegnare la sua finezza di sentimenti, anche con sfumature impercettibili.

La sua paterna e vigile attenzione ci ha seguito sempre, in tutto. Sapevamo che in qualsiasi momento era a nostra disposizione, con ascolto affettuoso, con la sua serena disponibilità. Bastava bussare!

E per tutto questo, la collaborazione con lui navigava, nell’immenso orizzonte della fede, sicura, calma, serena, libera, costruttiva.

I dialoghi con lui erano sapidissimi, profondi, condotti sulla sicurezza assoluta della stima e del rispetto reciproco.

Credo valga la pena aggiungere che lo si consultava sicure e tranquille perché si sapeva bene che mai avrebbe mancato di discrezione, di nobiltà, mai avrebbe lasciato alcuna in disagio con una parola contro la carità, o con un giudizio affrettato.

La sua parola veniva dalla sua profonda rettitudine, dall’amore alla verità, dal rispetto per tutti.

Mai gli abbiamo colto sulle labbra una parola contro un confratello, una consorella o chiunque sia.

Ovviamente gli inizi della Casa di Formazione non sono stati facili. S’incontravano due realtà lontanissime tra loro: una comunità molto anziana, seppure di numero considerevole, e un impianto di vita assolutamente nuova. Addirittura una Casa di Formazione per Monache provenienti da tutti i Monasteri d’Italia appartenenti all’unica Federazione, più Postulanti, Novizie e Professe di voti temporanei.

Le Novizie vi avrebbero passato l’anno canonico, le Professe tre semestri, prima dei voti solenni.

Dovevamo gradatamente integrarci per essere, per lo spirito agostiniano che ci animava e costituiva, un’unica famiglia.

E padre Trapè camminava con noi: attento, vigile, vicino, pronto in ogni momento a sostenere, a consigliare, incoraggiare infondendo fiducia e speranza.

Pronto a trasmetterci, a parteciparci con sorprendente semplicità il suo entusiasmo.

Ricordo il suo consueto atteggiamento quando entrava in Biblioteca per dettarci la sua lezione: Evviva!, quasi a significare che prima entrava il cuore, e che lui veniva con gioia!

Lui presente, non si sarebbe mai pensato a retrocedere. E ci prestava il medesimo ascolto, sia quando gli confidavamo gli inevitabili iniziali disagi della convivenza, sia quando affrontavamo questioni vitali per la nostra vita agostiniana.

E con la stessa attenzione, con lo stesso sensibile ascolto parlava con le giovani e con le anziane. Teso sempre ai grandi obiettivi: aiutare l’Ordine e la Chiesa.

Altrettanto faceva quando gli capitava di visitare qualche nostro Monastero. Il suo sogno era che ogni Monastero potesse essere un piccolo centro di spiritualità che irradiasse, in umiltà, luce e sapienza agostiniana.

Lentamente, gradatamente, con la luce della teologia e il calore della spiritualità, offerti dalla scuola di triennio in triennio, col contributo generoso e prezioso di tanti docenti agostiniani, già impegnati presso l’Ateneo Augustinianum, la Casa di Formazione portò i suoi frutti.

Monache più entusiaste e preparate, l’apertura alle Fondazioni.

A Lecceto il risorgere dell’Eremo agostiniano e della spiritualità monastica, avvenuta raccogliendo l’eredità dei nostri antichi Padri e la forte tensione di santità scritta nello stesso stemma e simbolo dell’Eremo: Iicetum Vetus, sanctitatis illicium.

A Lecceto il sogno di padre Trapè si è avverato!

Né difficoltà, né resistenze interne, né timori o incomprensioni ci hanno arrestate: Diamo credito alla Provvidenza, ci aveva detto un giorno.

E oggi l’insegnamento di padre Trapè sta formando le nuove generazioni della fiorente Comunità.

MariaRosa Guerrini, nel 1979, fu la prima giovanissima vocazione a dirci, a tutti, e prima al padre Trapè, il segno della benedizione del Signore

Ecco alcuni stralci di lettere scritte proprio dal padre Trapè a Sr. MariaRosa in occasione di tappe importanti del suo cammino nel cuore della tradizione leccetana, scritte con affetto paterno e spirito profetico.

In occasione della professione temporanea:

 

« … La prima volta che ti incontrai ai Santi Quattro ti dissi - lo ricorderai - che venivi come un segno della benedizione di Dio. Pensavo a Lecceto e a quanto si era fatto, operando e soffrendo, perché tornasse il Vetus sanctitatis illicium che la storia ricorda e di cui l’Ordine e Siena hanno bisogno. Oggi vorrei ripeterti quella mia convinzione e benedire assieme a te il Signore per i suoi divini disegni » (12.11.1980).

 

E il giorno 23.08.1981:« Ti ringrazio del ricordo, della preghiera, degli auguri. Che Sofia prenda l’abito, MariaRosa si dia da fare, mi fa immenso piacere. Era questo il segno che aspettavo con umile trepidazione. Il Signore me lo ha dato, il Signore ce lo ha dato. Sia benedetto il nome del Signore. A Lui, Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, rendiamone grazie. E mi auguro e spero che siate solo le prime, le prime d’una lunga schiera. Lecceto - mi paiono evidenti i disegni di Dio - deve tornare un asilo e un faro di santità. Come nei suoi tempi migliori, e per opera, questa volta, delle Sorelle. Di voi! Capisco la necessità e la fatica di costruire. Ce lo so, ce lo sapevo. Ma non vi perdete di coraggio: le opere di Dio crescono tutte così. Il ricordo evangelico del seme che deve morire per moltiplicarsi è istruttivo e consolante: fonda la nostra grande e beata speranza. Siate umili, siate forti, siate sapienti. Il Signore è con voi. Per voi presso di Lui pregano molti, e vi sono vicini con tutto l’affetto fraterno. Tra essi, non ultimo, il sottoscritto ».

 

In occasione poi della professione solenne:

«Ottima e cara MariaRosa. Penso che quando leggerai la presente il momento solenne e luminoso, che segna d’un sacro sigillo tutta la tua vita e l’inizio della nuova storia di Lecceto, sarà passato, e forse anche la festosa insieme e chiassosa corona delle consorelle e dei confratelli. Tra questi ci sono stato anch’io, ma col pensiero, con l’affetto, con la preghiera, con la gioia, benedicendo con te il Signore e invocando su di te tutte le sue grazie. Questa soprattutto: che l’azione occulta del suo Spirito ti afferri in modo che non ti sia più possibile lasciare la presa: come l’aquila i suoi aquilotti nell’alto dei cieli e sulle profondità dei dirupi. Cara MariaRosa, il Signore ti ha prediletta e ti è e ti sarà sempre vicino: spera in Lui, sii forte, non ti sentir mai sola, combatti la buona battaglia, conserva la fiducia. E quando insorgessero le difficoltà, ricorda che tante consorelle e tanti confratelli ti vogliono bene e ti sono vicini: ultimo, ma non il meno affezionato, il sottoscritto». (09.09.1983).

Nell’anno 1980 entrò a Lecceto Sofia Garosi e padre Trapè esultò. Così le scriveva il giorno della professione solenne:

«Venerabile e cara Sr. Sofia, tornato da Lecceto mi permetto di dirle qualcosa di quanto le circostanze e la commozione non mi hanno permesso di dire a voce. Partecipo con tutta l’anima alla sua gioia e benedico il Signore per l’inscrutabile mistero delle sue scelte e la ricchezza ineffabile dei suoi doni. Quando nel rito della professione ha ripetuto a Dio, pregando, le parole del S. P. Agostino un nodo di commozione mi ha preso alla gola. Spettacolo stupendo! Quelle parole egli le rivolgeva a Dio nella solitudine di Cassiciaco, e dopo tanti secoli una sua figlia spirituale le ripeteva nella solitudine di Lecceto. L’era nuova di Lecceto è incominciata. Formulo l’augurio - e può immaginare di che cuore - che a fianco dell’ancona dei beati di Lecceto che domina la sagrestia, si componga un giorno quella delle beate. E ci sia sempre in alto il S. P. Agostino che abbraccia con ineffabile gioia i suoi figli - questa volta le sue figlie - e in quell’abbraccio paterno vi troviate per prime voi - Sofia e MariaRosa -, le prime professe solenni della nuova era, insieme a tante altre che sono già e che arriveranno a Lecceto.

Sogni? Forse. Ma tanto belli che spero e prego che il Signore, per intercessione di Maria e dei Beati leccetani, li traduca in realtà» (22.09.1985).

 

Queste parole penso la dicano lunga sulla personalità del nostro carissimo Padre e sono tuttora per noi fonte di luce e di coraggio… oggi che a Lecceto molte giovani voci cantano l’amore alla Chiesa e ad Agostino.

Ovviamente abbiamo parlato soltanto delle realtà più significative alle quali padre Trapè ha posto mano gettando in esse energie, affetto, cuore e mente, e che hanno deciso del rinnovamento e della rifioritura di alcune porzioni dell’Ordine.

Giorno per giorno egli ha rassicurato con la sua illuminata e discretissima presenza ogni passo del nostro cammino e ora, con lui vicino dal cielo, insieme al S. P. Agostino, cantiamo e camminiamo!

 

Carissimo padre Trapè,

ci sei stato Padre e Maestro,

vera traccia di Dio e delle sue vie

guida a comprendere la grande anima di Agostino

e ad amare, quale pista di santità,

l’ideale monastico che egli ci ha lasciato.

Nel solenne momento della morte

ci hai consegnato la tua fede

ardente, incrollabile, serena,

nella speranza dei beni eterni tanto attesi.

Ti sentiamo vivo in mezzo a noi

partecipe del nostro cammino

ancora padre, fratello, amico.

 

 

Gianfranco Trapè: Mio zio Dante-Agostino

 

Una fredda giornata d’inverno, il 9 gennaio del 1915, nacque in quel di Montegiorgio, presso la Contrada Gagliano, Dante Trapè, che si consacrò prendendo i voti col nome di Agostino. Nacque, come tutti a quei tempi, nella sua casa di contadini, costruita in un borgo non lontano da una chiesetta dedicata al culto della Madonna delle Grazie. Il grande freddo di quei giorni mise a repentaglio la vita del nascituro. Anche i troppi rimedi presi per annullare i rigori del gelo (furono messe bottiglie di acqua calda attorno al neonato) rischiarono di sortire lo stesso effetto.

Testimone e cronista delle ore d’ansia di quei giorni fu la zia Pasqualina, presente nella stanza per assistere il parto della cognata Maria. Più tardi, quando come Padre Generale dell’Ordine degli Agostiniani, si recherà in Argentina in Visita Pastorale, sentirà questo racconto proprio dalla bocca di Zia Pasqualina, emigrata col marito tanti anni prima a Baiablanca. Fu quella la prima volta che pose piede sul suolo argentino.

Quella circostanza gli provocò una intensa commozione. Ricordò il racconto di suo padre Federico che, appena sbarcato a Buenos Aires, rimase sul molo ad attendere per tre lunghi ed interminabili giorni senza soldi per sfamarsi, l’arrivo del proprio babbo Annibale, emigrato in Argentina già da alcuni anni. Ricordò i sacrifici, i patimenti e la solitudine dei suoi cari in terra straniera, rispetto alla calda ospitalità che i suoi confratelli di oltre oceano gli avevano preparato.

Agostino Dante Trapè, fu bambino tra tanti bambini. La scuola elementare che frequentava era ubicata vicino la casa della nonna Nazzarena. Quando terminavano le lezioni, prima di prendere la strada di casa, Agostino saliva dalla nonna che lo congedava con una grossa fetta di pane. La mangiava felice rientrando a casa, dai suoi genitori, suscitando l’invidia dei compagni. Un episodio, banale ma significativo, gli procurò turbamento e fastidio. Durante una visita del Direttore Didattico alla sua classe, questi domandò del più bravo scolaro in aritmetica. Fu indicato subito l’alunno Dante Trapè. Il Direttore gli chiese: « secondo te, quanto fa 2 e 2? ». Il bambino rispose: « quattro », senza indugio. Fu redarguito e rimproverato di scarso acume poiché avrebbe dovuto, secondo il Direttore, rispondere « 22 ».

Amava molto la campagna. La sua campagna della quale conservò sempre una struggente nostalgia. Sua mamma molto spesso doveva cercarlo perché si allontanava per troppo tempo per i campi. Un giorno, per gioco, salì su un albero. Non riusciva a scenderne e scoppiò in un pianto disperato. Lo tranquillizzò la saggezza e la dolcezza della vecchia Nicolina (una signora vicina di casa dalla quale andava spesso a mangiare): « Non piangere, Dante - gli disse -, se non ce la farai taglieremo l’albero! ». Quelle parole furono un toccasana per il fanciullo che, placatosi, riuscì a guadagnar terra.

Nonno Federico voleva che il figlio proseguisse negli studi. Per questo, una mattina, con una boccia di cinque litri di vino come viatico, si recò a piedi insieme a lui, presso il Convento dei Padri Cappuccini (era il convento più vicino a casa sua), perché avessero cura dell’istruzione del giovanetto. Lasciò il vino al Padre Guardiano dicendo che sarebbe ripassato, prima dell’ora di pranzo, a riprendersi la boccia vuotata. Sperava, in cuor suo, di essere ospitato alla mensa dei frati e quindi di formalizzare la permanenza di Dante nel Convento. Quando, sbrigate le incombenze, fece ritorno dai Padri Cappuccini, lo stesso Padre Guardiano gli rese il fiasco vuoto e lo congedò bruscamente. Federico, allora, se ne andò con il figlio, giudicando gli stessi frati molto ignoranti e scortesi, sicuramente non adatti all’educazione dei bambini. Mentre con questi pensieri di risentimento riprendeva la strada di casa, incontrò un conoscente. Questi, scorto l’aspetto corrucciato di Federico, gliene chiese ragione. Uditane la risposta, ebbe cura di raccomandargli l’intelligenza dei frati agostiniani. Padre e figlio, allora, si recarono a quel Convento, che accolse di buon grado Dante.

Le vie della Provvidenza passano anche per una boccia di vino! Infatti il disegno si compì.

Il giovane discepolo Agostino fu subito conquistato dall’Ordine e dagli studi. Si propose al Padre Rettore dei seminaristi come responsabile della camerata cui era stato assegnato. Poté disporre, in questo modo, di una sveglia. Ebbe sempre cura di farla suonare un’ora prima del consueto allo scopo di avere un tempo utile per i suoi studi, trascorso il quale, provvedeva all’ufficio di destare i compagni.

La sua sveglia continuò a suonare con un’ora di anticipo per tutta la sua vita.

 


   

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